Una riforma dell’Ordine degli avvocati manca da 80 anni. Per questo alla Commissione Giustizia si sta lavorando ad un disegno di legge di 65 articoli che riscriva le regole di accesso e le condizioni di permanenza nella professione forense. Il tutto in un clima insolitamente bipartizan favorito dal fatto che, in Parlamento, di avvocati ce ne sono tanti e di giovani avvocati quasi nessuno.
I punti salienti della riforma presentata dalla Commissione presieduta da Filippo Berselli sono diversi: si comincia con lo stabilire criteri più rigidi per regolare l’accesso alla professione e si prosegue con le verifiche (biennali) per cancellare dall’albo chi non esercita la professione in modo continuativo. Anche magistrati e docenti universitari, per essere ammessi, dovranno superare delle prove di idoneità, i temibili “quiz”.
Rispetto al tentativo di liberalizzazione dell’Ordine fatto da Pierluigi Bersani quando era ministro dello Sviluppo Economico, invece, si registra un dietrofront: le tariffe minime saranno di nuovo «inderogabili e vincolanti».
Tutti d’accordo? Nemmeno per sogno: se infatti in Parlamento la riforma sembra cosa possibile anche con la collaborazione dell’opposizione i giovani avvocati insorgono. Per loro, nei 65 articoli del ddl ci sono solo difficoltà. A partire dall’articolo che stabilisce in 15.000 euro annui il limite minimo di reddito per essere iscritti all’ordine. Una chimera per chi alla professione si è appena affacciato e lavora, spesso sottopagato, negli studi di professionisti più noti. Non solo: un emendamento proposto da Felice Casson del Pd, che prevedeva l’istituzione di un salario minimo per i praticanti, è stato respinto.
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