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Bambino conteso di Cittadella, diviso “a metà”: pazzo il giudice? No, i genitori

di Elisa D'Alto |21 Maggio 2013 13:41

ROMA – Prima in comunità, con contatti limitati con i genitori. Poi affidato alla mamma, poi no, arriva un’altra sentenza che affida il bambino al papà. Ma con la possibilità di vedere la mamma durante le vacanze di prassi e per 15 giorni al mese. “Un bambino non è un pacco postale”, dicono tutti i papà e le mamme quando ci si separa e, al solito, “ci vanno di mezzo i figli”. Eppure…eppure è quasi impossibile sottrarsi al gioco al massacro sulla pelle dei figli, come dimostra l’evoluzione del caso ormai noto del “bambino di Cittadella“.

Che, a 11 anni, è già passato attraverso le decisioni di 3 diversi tribunali, affidato alla comunità, poi alla madre, infine al padre. Sembrerà schizofrenica, a prima vista, l’attività dei tribunali italiani che cambiano la vita di un bambino a colpi di verdetti. Ma in questi casi, quando di mezzo ci sono pulsioni e affetti umani, non va sottovalutata la guerra psicologica degli attori principali, gli adulti di questa storia. I tribunali, in fin dei conti, non fanno altro che decidere il meglio possibile per il bambino, ammesso che ci sia quando i genitori del bambino in questione si fanno la guerra dal 2005.

Guerra che tantissimi genitori separati si sono fatti e si fanno per i figli, ma questa, la storia di Cittadella, è finita sui giornali e in tv grazie a un video. Il bambino trascinato a forza dalla polizia che dava attuazione all’ordinanza del tribunale che assegnava il piccolo a una comunità. Era ottobre 2012, da allora il bambino è passato dalla comunità alla casa materna. Poi da quella materna a quella paterna, infine verrà “diviso”, metà mese con un genitore, l’altra metà con l’altro.

La guerra schizofrenica, in questo caso, è dei genitori, le sentenze mettono la toppa. E’ un estremo rimedio quello del “mese dimezzato”, perché non tiene conto del volere del bambino: ognuno di noi assegna a un solo posto il titolo affettivo di “casa”, perché non dovrebbe fare altrettanto un bambino di 11 anni? Perché a lui dovrebbe sembrare normale avere due vite, con due case, due armadi, due diverse compagnie di amici, diversi luoghi da frequentare, magari due palestre?

Ma la guerra schizofrenica dei genitori ha deciso questo per lui, usando come alibi quello che la legge prevede in questi casi: un minore può essere ascoltato da un giudice quando ha compiuto 12 anni. Significa che l'”io vorrei stare con…” di questo bambino non è stato ascoltato dal giudice che decide, al massimo dagli assistenti sociali. E così le istanze del bambino restano in secondo piano, sopra la sua testa andrà avanti la guerra schizofrenica dei genitori a colpi di ricorsi e avanti così, fino alla prossima sentenza, per chissà quanti anni, per chissà quanti bambini, prima che mamma e papà la smettano. O, più verosimilmente, fino alla maggiore età del bambino.

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