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“Buone azioni Spa”: il volontariato è anche un affare

di luiss_smorgana |27 Ottobre 2014 12:08

“Buone azioni Spa”: il volontariato è anche un affare

ROMA – Volontari, volenterosi o veri e propri “impiegati” delle buone azioni? L’esercito della solidarietà in Italia conta 826 mila operatori che prestano il loro servizio a titolo spontaneo e gratuito, almeno in teoria.

In pratica quello delle attività “offerte” è un business ben strutturato:  ruota intorno a più di 21 mila associazioni (di cui 16mila iscritte nei registri regionali), è alimentato da 2 milioni di euro di fondi pubblici,  dalle quote dei soci e alle donazioni esterne. Inoltre si avvale del 5 x mille che ogni anno va alle associazioni di volontariato: gli ultimi dati dell’Agenzia delle Entrate, quelli del 2007, parlano di 355.2 milioni di euro, ovvero più dalla ricerca sanitaria (62.9 milioni) e scientifica (57.8 milioni).

IDENTIKIT Uomo, tra i 30 e i 54 anni, il volontario ha di norma un altro impiego, ma sceglie di occupare il tempo libero in attività di assistenza sociale e sanità in primis.

Ma il terzo settore, quello del non profit, di cui il volontariato è solo una branca, è costituito da 12 mila  impiegati, 13 mila collaboratori, 7 mila religiosi. Chi lavora fra gli sfollati, per le strade e a difesa dei monumenti, nella sanità, con i disabili e i tossicodipendenti non vive solo di sporadiche buone azioni, ma nella maggior parte dei casi fa riferimento a una struttura ben salda: ogni associazione può ricevere fino a  50 mila euro di contributi elargiti dal Ministero del Lavoro e della Solidarietà sociale per ciascun progetto.

Grazie alle sciagure climatiche o agli incidenti, Abruzzo in testa, i volontari si sono guadagnati la fiducia del Paese: i giubbotti catarifrangenti della Protezione civile (che presto potrebbe diventare una S.p.a.) e le barelle in mano convincono gli italiani molto più di divise, toghe e tonache da prete secondo una recente indagine Astra.

COOPERANTI Nella galassia dei servizi sociali e del terzo settore, spesso gettata nel grande calderone del “volontariato” fanno parte anche dirigenti e cooperanti, tutti retribuiti e in alcuni casi, come nelle grandi missioni dell’Onu, lautamente retribuiti. Non è un caso che il rapimento delle “due Simone” nel settembre 2004 tenne l’Italia con il fiato sospeso: quelle che l’Italia chiamava le “volontarie”, in realtà non lo erano affatto, almeno non nell’accezione utilizzata nell’articolo 2 della legge 266/91, cioè Simona Pari e Simona Torretta non erano in Iraq gratis. Le due, per un full time da 40 ore, aumentato da un’indennità di 225 euro al mese, guadagnavano circa 1.500 euro netti al mese, euro più, euro meno, a seconda del numero di giorni o di festività. In aggiunta vi sono l’assicurazione sulla vita (obbligatoria per le Ong), l’alloggio e i trasporti.

Questo è solo uno degli esempi che spesso creano confusione nel mondo dei “benefattori”. Se nella percezione popolare l’esercito dei volontari batte politica, chiesa e istituzioni, il motivo è legato non solo al grande dispendio di tempo delle migliaia di persone che offrono le proprie competenze a titolo gratuito, ma anche grazie a chi della solidarietà ha fatto un vero e proprio mestiere. Il volontariato è visto come modello di riferimento, ma non è detto che esso rispecchi solo lo slancio solidaristico di cittadini dal cuore grande: spesso è un’attività assolutamente proiettata sul lavoro vero e proprio.

DIPENDENTI Secondo gli ultimi dati aggiornati dal Ministero, presentati nel marzo 2006, “rispetto al 1995, i dipendenti sono cresciuti del 77,0%, i volontari del 71,4%. Nel periodo 1995-2003 i dipendenti sono aumentati in misura significativa soprattutto nel Mezzogiorno (+281,4%), nel Nord-est (+202,6%) e nel Nord-ovest (+128,7%), mentre diminuiscono al Centro (-16,4%)”.

Insieme agli operatori non si sa di quanto siano aumentati anche i rimborsi spese, già previsti nella legge del ’91, che per  gli organizzatori delle missioni a volte possono costituire un vero e proprio stipendio. Se al datore di lavoro un volontario viene rimborsato circa 110-120 euro al giorno, come è successo con le migliaia di persone mobilitatesi per l’emergenza Abruzzo, al singolo cittadino che presta spontaneamente il suo servizio vengono garantiti trasporto, vitto e in alcuni casi alloggio e altri soldi per le “attività extra”. Una ricompensa dovuta per chi mette in gioco tempo e competenze, ma ancora non regolamentata da una normativa adeguata.

PROSPETTIVE La legge 266 del 1991 sul volontariato è ormai superata e il mondo del non profit in generale si sta evolvendo e ristrutturando: punta alla professionalizzazione degli operatori, o di gran parte di essi, che dunque non possono più lavorare solo gratuitamente.

Le possibilità in gioco sono due: o l’ipotesi del quarto settore, come volontariato puro, distinto dal terzo settore e dalla cooperazione; o la proposta di un ibrido cooperanti pagati e operatori a servizio gratuito regolamentata da una norma apposita che riconosce le due figure distinte.

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