Camorra, Clan Mallardo: il pentito Giuliano Pirozzi svela i segreti della cosca

Arresto di un boss del clan Mallardo (Foto LaPresse)
Arresto di un boss del clan Mallardo (Foto LaPresse)

GIUGLIANO (NAPOLI) – Non solo il rispetto delle comuni regole non scritte della camorra, ma anche il divieto di guardare le donne altrui e quello di avere amanti: questo pretendeva dai suoi fedelissimi il boss Feliciano Mallardo, meglio noto come“’o sfregiato”, in carcere dal 2011. A svelarlo è il collaboratore di giustizia Giuliano Pirozzi, ex manager affiliato al clan egemone nel Giuglianese, durante l’udienza del processo in corso davanti ai giudici della settima sezione penale su struttura, complicità e affari gestiti dai boss Mallardo e dai loro uomini più fidati.

“Don Feliciano, ’o sfregiato, cugino dei boss Francesco e Giuseppe –  spiega il pentito – non permetteva che si guardasse la donna di altri. Non voleva che si avessero amanti. Su questo era molto serio”. Pirozzi risponde alle domande del pm della Dda Maria Cristina Ribera, protetto da un paravento di tela bianca e circondato da forze dell’ordine. In aula si sente solo la sua voce mentre svela passo passo i segreti del clan. Parla rapido, non tralascia i particolari, arrivando a fornire anche i numeri di cellulari delle persone con cui aveva contatti.

In base a quanto riferito dal collaboratore di giustizia, chi aveva dei debiti con Mallardo per aver ricevuto qualche favore poteva cavarsela  regalandogli un orologio. Non a caso, l’ultimo regalo fatto al boss è proprio un Patek Philippe da 25mila euro. «Ricordo di averglielo consegnato proprio io» spiega il pentito quando il pm gli mostra la foto dell’oggetto sequestrato dagli inquirenti. Secondo le confessioni di Pirozzi, “‘o sfregiato” godeva di una vastissima rete di contatti, che non escludeva dipendenti della pubblica amministrazione e della polizia municipale. Attraverso la loro complicità otteneva documenti di varia natura, da quelli che attestavano false  indennità a quelli che permettevano a chi non ne aveva i requisiti di ottenere colloqui in carcere con persone detenute.

Le aziende del clan avevano acquisto il controllo di interi settori economici: dalla produzione e commercializzazione del caffè, ai centri scommesse, al commercio all’ingrosso di bibite e prodotti para farmaceutici, al business dell’oro, al riciclaggio sporco dei rifiuti o a quello dei falsi prodotti griffati.

Come spiega Viviana Lanza su Il Mattino:

“Il clan di Giugliano decise di puntare sui beni di largo consumo per mettere in piedi affari milionari con cui riciclare e far moltiplicare i propri guadagni. E così direttamente o indirettamente il clan traeva profitti dalla distribuzione di pane, cotto nei forni della camorra, del latte, business in accordo con i Nuvoletta, e del caffè, affare tra i più redditizi della cosca che – racconta il collaboratore di giustizia – per evitare di essere denunciata dai collossi del settore pensò di impossessarsi di una torrefazione della zona, di investire su un marchio sconosciuto e imporlo in tutti i bar e i ristoranti dell’area giuglianese. Nelle casse finivano ogni mese circa 60mila euro.”

Nel settore edilizio la cosca dei Mallardo entrava negli appalti più redditizi, costringendo gli affiliati a versare tangenti pari al 5 % dei lavori o in alternativa a entrare in società con i boss al 50%. Anche se, a detta di Pirozzi, negli ultimi tempi “non era facile trovare imprenditori puliti, che non avessero mai ricevuto nemmeno una cartella di Equitalia”.

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