Carabinieri Piacenza, il racconto di un pusher Carabinieri Piacenza, il racconto di un pusher

Carabinieri Piacenza, il racconto di un pusher: “Mi hanno spaccato il naso due volte. Ora ho paura che mi uccidano”

Parla lo spacciatore, un marocchino, che con la sua denuncia ha dato il via alle indagini che hanno portato all’arresto di 6 carabinieri a Piacenza.

“Ma io non vivo più. Bevo e non dormo la notte. Ho fatto bene? Con la paura che mi uccidano” dice il pusher marocchino di 26 anni, grande accusatore dell’appuntato a capo della banda dei carabinieri arrestati, e degli abusi e delle torture della caserma di Piacenza. Il giovane lo racconto al Corriere della Sera.

“L’ho conosciuto – dice – nel 2010 quando faceva il preparatore atletico di una squadra di calcio dilettante, nella quale giocavo”. Nel 2016 lo hanno arrestato per spaccio e dopo la convalida dell’arresto era stata applicata nei suoi confronti la misura dell’obbligo di firma alla caserma. In questa circostanza il 26enne ha rivisto l’appuntato che gli aveva chiesto di collaborare: “La prima volta che mi ha visto quando sono andato a firmare mi ha detto “vedi ti hanno cantato e quello che ha cantato è ancora fuori”, mi ha detto in modo esplicito che se avessi avuto qualche operazione cotto e mangiato, ossia senza svolgere indagini lunghe una parte del denaro e dello stupefacente poteva essermi data quale compenso. In particolare mi diceva che la mia parte, nel caso di informazione positiva sarebbe stata pari al 10%”.

Da quel momento per il marocchino inizia il calvario. “Lui inizia a pagarmi con fumo e bamba. Chi doveva aiutarmi mi ha fatto precipitare ancora di più…” ammette.

Dalle soffiate alle torture

Poi svela che con le sue soffiate ha fatto arrestate parecchie persone a Piacenza: “Almeno trenta. Me ne vergogno. Perché poi venivano pestati a sangue e incastrati. Ricordo le urla disumane di un poveretto che era nella “stanza della terapia”, dove tenevano la droga sequestrata. Lo stavano picchiando. E in ufficio si sentiva benissimo. C’era anche il comandante”.

“Ricordo – dice  ancora l’accusatore al Corriere – le urla disumane di un poveretto che era nella “stanza della terapia”, dove tenevano la droga sequestrata. Lo stavano picchiando. E in ufficio si sentiva benissimo. C’era anche il comandante” Poi è toccato a me, volevo smettere e mi pedinavano. Hanno iniziato a picchiarmi. Mi chiudevano nello stanzino, due mi colpivano e due fingevano di volermi aiutare. Calci, pugni. Mi ha rotto il naso due volte. Poi ho deciso di confidarmi con il maggiore. Gli ho raccontato e mi ha detto: “scappa o ti ammazzano, ti buttano nel Po”. Il ragazzo conferma anche i festini. “In caserma, un giorno mi chiama l’appuntato e dice. vieni qui, sto sco…. E mi fa vedere una ragazza tossica che faceva se**o con lui in cambio di droga”. (fonte CORRIERE DELLA SERA)

 

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