Le carceri italiane sono “fuori legge”: due metri quadri a detenuto è “una tortura”

Due metri quadrati per detenuto, ogni cella ne “ospita” almeno 3, servizi igienici. Questa la realtà del piccolo carcere di Pistoia  come in quello di Milano-San Vittore (nella sezione nuovi giunti 5-6 persone in camere di 9 metri con letti a castello a tre piani). Le presenze sono doppie, quando non quasi triple, come nel caso di Bologna (450 posti e 1.150 detenuti), rispetto alla capienza regolamentare.

Le ore d’aria sono in alcuni casi solo due: succede a Poggioreale (Napoli), dove per altro non si svolgono al momento attività  formative o scolastiche. “Antigone” e “A buon diritto”, dopo aver visitato 15 tra i più affollati istituti di pena d’Italia, tra il 21 giugno e il 2 luglio, documentano in un dossier, presentato giovedì 15 luglio alla Camera, come il sovraffollamento si sommi e aggravi le carenze strutturali che in ogni caso fanno ritenere le ”carceri italiane fuori legge” e rappresentano ”una violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea: un’ipotesi di tortura o trattamento inumano o degradante”.

Patrizio Gonnella (Antigone) e Luigi Manconi (A buon diritto) hanno annunciato anche di aver presentato 15 esposti ai sindaci e ai direttori delle Asl competenti e degli istituti penitenziari visitati chiedendo ”di provvedere immediatamente a superare, con ogni provvedimento opportuno o con ogni adempimento relativo al caso di specie, le violazione ”.

Il Comitato per la Prevenzione della Tortura del Consiglio d’Europa ha stabilito, ricordano le associazioni, in sette metri quadrati lo spazio minimo garantito a un detenuto in una cella singola e in quattro metri quadrati lo spazio aggiuntivo per ciascun altro detenuto. E in base a questa previsione un anno fa il nostro Paese è stato condannato dalla Corte Europea per il diritti dell’uomo a risarcire un bosniaco, detenuto a Rebibbia tra il 2002 e il 2003, per ”danni morali” per aver condiviso con altre 5 persone una cella di 16 metri.

E oggi, come dimostra il dossier, la situazione è la stessa se non più grave di allora: a Rebibbia Femminile il reparto ”camerotti” (dove sono rinchiuse le donne in attesa di giudizio) ospita 5-6 persone in celle di 15 metri, compresi i servizi igienici (wc e lavandino); nella sezione nido una cella di 25 metri ospitava al momento della visita 12 persone tra madri e figli. E ancora a Sulmona, nel cosiddetto carcere dei suicidi (270 posti per 444 detenuti), ”le condizioni igieniche sono pessime e si attende la ristrutturazione”; a Sollicciano (Firenze) nella sezione transessuali, le docce sono chiuse e le 15 recluse fanno la doccia tre volte a settimana in un altro reparto; a Regina Coeli (Roma) c’e’ una sola cucina per 1.070 detenuti, mentre il Regolamento dell’ordinamento penitenziario del 2000 prevede una cucina ogni 200 persone.

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