Accanimento terapeutico, Martini dice no. Dove comincia e dove finisce? Il caso

Carlo Maria Martini (Foto Lapresse)

ROMA – Aveva rifiutato il sondino naso-gastrico e il tubicino per l’alimentazione artificiale nell’addome: Carlo Maria Martini se ne è andato venerdì 31 agosto dicendo no a quello che considerava un accanimento, accanimento terapeutico, per l’esattezza.

Del resto era stato lui stesso a dire che “Non può essere trascurata la volontà del malato”. La sua volontà è stata di dire no a tubi e sondini. La stessa volontà di Piergiorgio Welby e di Eluana Englaro, solo per citare i nomi noti, anche se di Eluana e di Piergiorgio ce n’è in moltissimi ospedali o case d’Italia. Ma il limite tra no all’accanimento terapeutico ed eutanasia (illegale) è sottile, e a volte pare dipendere anche dal nome del malato.

Martini era malato di Parkinson da circa 16 anni. L’aggravarsi della malattia non gli aveva permesso di trascorrere la vecchiaia a Gerusalemme, come avrebbe voluto. Lo aveva anche privato della parola, lui che si batteva per il dialogo.

Ma l’ultima parola l’ha detta comunque. Il suo medico personale, il neurologo Gianni Pezzoli, ha detto che Martini “non era più in grado di deglutire nulla ed è stato sottoposto a terapia parenterale idratante. Ma non ha voluto alcun altro ausilio: né la peg, il tubicino per l’alimentazione artificiale che viene inserito nell’addome, né il sondino naso-gastrico. E’ rimasto lucido fino alle ultime ore e ha rifiutato tutto ciò che ritiene accanimento terapeutico”.

Era stato sempre Martini a dire che “la crescente capacità terapeutica della medicina consente di protrarre la vita pure in condizioni un tempo impensabili. Senz’altro il progresso medico è assai positivo. Ma nello stesso tempo le nuove tecnologie che permettono interventi sempre più efficaci sul corpo umano richiedono un supplemento di saggezza per non prolungare i trattamenti quando ormai non giovano più alla persona”.

Viene da chiedersi quanto giovassero respiratori e sondini per la nutrizione artificiale a Eluana Englaro e a Piergiorgio Welby. Ma in entrambi i casi il loro no a quello che ritenevano accanimento terapeutico (loro o dei loro familiari, visto che Eluana Englaro era entrata in coma prima di poter esprimere la propria volontà a riguardo, e considerato che in Italia non esiste il testamento biologico) ha suscitato aspre polemiche nei palazzi della politica e della Chiesa.

Eppure a differenza di Eluana e di Piergiorgio “Martini seguiva una terapia molto complessa ma non era attaccato a nessuna macchina”, ha detto Pezzoli.

Nell’Enciclica Evangelium Vitae scritta da papa Giovanni Paolo II nel 1995 è scritto che dall’eutanasia (cioè il porre fine alla vita di un malato terminale attraverso la “dolce morte”) “va distinta la decisione di rinunciare al cosiddetto ‘accanimento terapeutico’, ossia a certi interventi medici non più adeguati alla reale situazione del malato, perché ormai sproporzionati ai risultati che si potrebbero sperare o anche perché troppo gravosi per lui e per la sua famiglia. In queste situazioni, quando la morte si preannuncia imminente e inevitabile, si può in coscienza ‘rinunciare a trattamenti che procurerebbero soltanto un prolungamento precario e penoso della vita, senza tuttavia interrompere le cure normali dovute all’ammalato in simili casi’. Si dà certamente l’obbligo morale di curarsi e di farsi curare, ma tale obbligo deve misurarsi con le situazioni concrete; occorre cioè valutare se i mezzi terapeutici a disposizione siano oggettivamente proporzionati rispetto alle prospettive di miglioramento. La rinuncia a mezzi straordinari o sproporzionati non equivale al suicidio o all’eutanasia; esprime piuttosto l’accettazione della condizione umana di fronte alla morte”.

Situazioni concrete, nota l’enciclica di papa Wojtyla. Come aveva detto Martini, invocando un “discernimento che consideri le condizioni concrete e le intenzioni delle persone coinvolte. Perché al di là della morte e dell’eutanasia, dell’accanimento e della terapia, c’è il malato, con la sua individualità. Alla fine, è “la volontà del malato” che conta.

IL CASO SU TWITTER – Appena arrivato l’annuncio della morte del cardinale, sotto l’hashtag #martini il mondo di Twitter ha aperto un dibattito sulle cure accanite, sul no di un uomo di Chiesa all’accanimento delle terapie.

“Almeno Martini sapeva che il medioevo è passato”, ha scritto qualcuno. In un altro tweet si legge: “E adesso i finti moralisti cattolici, politici e non, cosa diranno, che il cardinal Martini si è suicidato?”.

I FUNERALI – I funerali di Martini saranno celebrati lunedì 3 settembre alle ore 16.00 in Duomo a Milano. Alle ore 8.30 del 1° settembre è stata programmata la messa di suffragio aperta a tutti. L’arrivo della salma è per le ore 12 e sarà posizionata nella navata centrale del Duomo davanti all’altare maggiore. Il Duomo resterà aperto fino alla giornata di domenica e lunedì fino alle 11.30.

 

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