MILANO – L’ultima intervista del cardinal Martini doveva essere inserita nel suo testamento. Cioè doveva essere pubblicata dopo la sua morte, secondo la richiesta di don Damiano Modena. Lo dice al Corriere della Sera Federica Radice Fossati Confalonieri, che di quell‘intervista è stata l’autrice, insieme a padre Georg Sproschill. Ed è un dettaglio non da poco, visto che l’intervista in questione è quella in cui Martini definiva la Chiesa “duecento anni indietro”.
“Quando ho incontrato per l’ultima volta il cardinale era il 23 agosto, racconta Radice. Avevamo fatto avere a don Damiano Modena il testo della conversazione che il cardinale Martini aveva avuto con padre Georg Sporschill e me due settimane prima, l’8. Padre Sporschill aveva limato il testo in tedesco, io l’avevo ritradotto in italiano per poi mandare a Gallarate le due versioni, il cardinale aveva letto e approvato. Quel giorno don Damiano mi disse: il testo è stupendo ma è molto forte, aspettiamo a renderlo pubblico dopo la morte. Tutti avevamo la consapevolezza che fosse una sorta di testamento. E ormai sapevamo che era una questione di giorni. L’idea era che quel testo facesse parte anche del suo lascito testamentario, don Damiano lo aveva già consegnato all’esecutore”.
Federica Radice non è giornalista, ma è una delle persone che negli ultimi anni è stata più vicina al cardinale, che aveva conosciuto nel 2008 a Gerusalemme trovando in lui “un amico, un padre spirituale, un confessore”.
Radice spiega che quell’intervista era soprattutto “l’ultima conversazione, l’epilogo delle Conversazioni notturne a Gerusalemme che è diventato il libro più letto di Martini”. Una conversazione che ha stupito per primi gli stessi autori: “Pensavamo di parlare dieci minuti e siamo andati avanti due ore, padre Sporschill in tedesco, il cardinale in italiano e io, una donna laica, che traducevo e mi trovavo ad essere testimone di quel dialogo tra due grandi gesuiti”.
Su quello che è stato visto da molti come un attacco alla Chiesa, Federica Radice spiega: “Non ha parlato di persone. L’attacco, semmai, è alla struttura rigida che vincola la Chiesa, i “vincoli dell’istituzione”. La necessità di fare breccia, di aprirsi. Quando parlava dell’apparato burocratico ci ha detto: “Il nostro patrimonio culturale che dobbiamo conservare è ancora in grado di servire l’evangelizzazione e gli uomini? Oppure intrappolano le nostre forze in modo da paralizzarci quando un bisogno ci schiaccia?” Diceva che c’era bisogno di cardinali un po’ matti, di gente fuori dalle righe, persone che rompessero le barriere e sapessero portare novità. Come Madre Teresa”.
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