ROMA – Il cardinale Carlo Maria Martini è morto. “E’ purtroppo entrato nella fase terminale”, aveva detto poche ore prima che il religioso si spegnesse, Gianni Pezzoli, il neurologo che lo ha tenuto in cura. E “non vuole l’accanimento terapeutico”. Come a dire no ad una vita artificiale.
Una dichiarazione inaspettata da parte di un esponente della Chiesa. Una frase che ricorda il tema lacerante del testamento biologico, proprio mentre i Comuni italiani nel 2012 hanno istituito i primi registri sulle ultime volontà terapeutiche dei propri cittadini.
Quella del non accanimento terapeutico da parte del cardinale Martini però non dovrebbe stupire. Fu lui, nel 2007, ad affermare: “Evitando l’accanimento terapeutico non si vuole procurare la morte: si accetta di non poterla impedire”.
Martini era affetto dal morbo di Parkinson, malattia che nel 2008 lo costrinse a rientrare in Italia dalla Terra Santa. Qualche mese fa la malattia inizia a peggiorare, ed ora le sue condizioni sono critiche.
Pezzoli, medico personale di Martini, ha detto: “E’ purtroppo entrato in fase terminale. Dopo un’ultima crisi, cominciata a metà agosto, non è più stato in grado di deglutire né cibi solidi né liquidi. Ma è rimasto lucido fino all’ultimo e ha rifiutato ogni forma di accanimento terapeutico”.
Il medico ricorda il cardinale e la convivenza con la malattia: “Non ha mai cercato di nascondere la sua malattia, anzi l’ha sempre dichiarata con grande coraggio. Ha partecipato a svariati convegni sul Parkinson, durante i quali ha sempre risposto alle domande dei pazienti. Per noi è stato ed è un onore poterlo seguire”.
E mentre la diocesi di Milano, guidata dal cardinale Martini tra il 1979 ed il 2002, raccomanda ai fedeli di dedicargli “speciali preghiere, espressione di affetto e di vicinanza in questo delicato momento”, nelle menti risuona quella richiesta di “non accanimento terapeutico”.
Una richiesta che per la Chiesa ha un sapore amaro, la stessa Chiesa che dopo la vicenda di Eluana Englaro si dichiarò contraria e ferma nel rifiutare ogni autodeterminazione in materia di testamento biologico ed eutanasia. Ma già nel 2007 il cardinale Martini apriva ad un punto di vista ben diverso.
In una riflessione, pubblicata il 21 gennaio 2007 sul Sole 24 Ore, Martini riconosceva la necessità di “norme che consentano il rifiuto delle cure” da parte dei malati terminali. Il cardinale sottolineava anche la “grandissima importanza distinguere tra eutanasia e astensione dall’accanimento terapeutico, due termini spesso confusi”.
L’accanimento terapeutico, scriveva Martini, non è finalizzato a “procurare la morte”, ma riguarda l’accettazione di non poterla impedire: “Non può essere trascurata la volontà del malato, forse sarebbe più corretto parlare di limitazione dei trattamenti”. Martini, facendo riferimento alla legge francese, invitò già nel 2007 la Chiesa ad una “più attenta considerazione anche pastorale -e aggiunse – . Dal punto di vista giuridico rimane aperta l’esigenza di una norma che consenta di riconoscere la possibilità del rifiuto (informato) delle cure e consenta di proteggere il medico da eventuali accuse”.
Non stupisce allora che proprio Martini abbia chiesto al suo medico di non accanirsi. Dopo la lunga malattia degenerativa, che il cardinale ha sempre affrontato con coraggio, il suo rifiutare le cure è la dimostrazione della sua accettazione: la consapevolezza che la morte non si può impedire.