Carlo Lissi: l’amore sul divano, la strage familiare, l’Italia come alibi

Carlo Lissi: l'amore sul divano, la strage familiare, l'Italia come alibi
Carlo Lissi: l’amore sul divano, la strage familiare, l’Italia come alibi

MOTTA VISCONTI (MILANO) Carlo Lissi: l’amore sul divano, la strage familiare, l’Italia come alibi. Sul divano dove avrebbe trovato la morte, tre coltellate alla gola sul collo in pieno ventre, Maria Cristina Omes aveva appena finito di fare all’amore. Non sapeva ancora che suo marito, quel giovane informatico che gli aveva dato due figli, s’era preparato per diventare suo carnefice. Nella mente di Carlo Lissi, i due figlioletti già a letto, la partita dell’Italia in programma due ore dopo, quell’ultimo rapporto sessuale sul divano era parte integrante del suo piano omicida. Agghiacciante la tenerezza simulata per corroborare un alibi che avrebbe fatto subito acqua da tutte le parti: una normale serenità familiare violata dai soliti balordi predatori ed efferati. Ci ha creduto solo il sindaco, per un po’. 

Maria Cristina ha fatto in tempo a scoprire la trasformazione del marito in mostro. Alle 22 e 50 la vicina di casa Anna Buratti, dalla sua cucina ha sentito distintamente un grido: “No, perché?”. Non deve averci fatto troppo caso. Carlo Lissi, inferte le coltellate mortali sulla moglie, è tornato nella cantina sotto casa, si è lavato alla buona (quelle macchioline di sangue sulle mutande poi non avrebbe saputo giustificarle agli inquirenti che avevano già mangiato la foglia). Poi, ripreso il coltello, si è diretto nelle camerette dei figli: un colpo ben assestato ciascuno e Giulia, 5 anni e Gabriele, 20 mesi, sono morti sul colpo. Maria Cristina, riversa sul divano finiva di dissanguarsi.

Al numero 20 di via Ungaretti, nella linda villetta una strage familiare si è consumata. Carlo Lissi si sente libero finalmente, nessuno potrà più contrastare il suo nuovo folle progetto amoroso: è innamorato di una collega, non è corrisposto. E folle è anche la messinscena finale: simula un furto, fa sparire gioie e pezzi di valore, mette a soqquadro la casa, ma dimentica dei contanti sul tavolo. Quindi si fa la doccia e si prepara per andare a guardare la partita da un amico. Alle nove e mezza aveva mandato un sms a Carlo, nickname “killed”: è educato, non è abituato a imbucarsi all’ultimo momento (“Posso fare lo sfacciato e aggregarmi a voi?”). Doveva andare al pub con un altro amico, ma gli ha dato buca.

Ci vuole un po’ di stomaco a immaginarselo mentre esulta al gol di Marchisio, mentre abbraccia qualcuno al gol di Balotelli. Lungo la strada, in via Mazzini,  aveva gettato il coltello in un tombino. Quando torna alla villetta s’è già preparato lo spettacolo di lacrime, urla e disperazione che inscenerà di fronte ai vicini e alla polizia che sopraggiunge. La recita dura fino alle 2 di notte del giorno dopo. E sarà una confessione piena, dettagliata, come sgorgasse da sé, ogni argine è crollato. Fa mettere a verbale: “Premetto che voglio che mi sia dato il massimo della pena, sono stato io ad uccidere mia moglie e i miei due figli”.

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