Cassazione: “Dell’Utri mediò tra Berlusconi e la mafia”

ROMA – Il senatore Marcello Dell’Utri è stato il ”mediatore” dell’accordo protettivo per il quale Berlusconi pago’ alla mafia ”cospicue somme” per la sua sicurezza e quella dei suoi familiari. Lo scrive la Cassazione nelle motivazioni depositate della sentenza che ha annullato con rinvio la condanna per concorso esterno a Dell’Utri.

Inoltre, aggiunge la corte, in ”posizione di vittima”, l’ex premier Silvio Berlusconi, all’epoca ”imprenditore” pago’ ”cospicue somme” in favore di Cosa Nostra in cambio ”dell’accordo protettivo” contro il rischio di sequestri ai suoi danni e dei suoi familiari. La Cassazione, nel confermare gli addebiti di concorso esterno in associazione a delinquere, a carico di Marcello Dell’Utri per i fatti contestatigli fino al 1978 (quando ancora non era stata introdotta nel codice l’aggravante mafiosa) afferma che non è importante la circostanza che le somme pagate da Berlusconi non siano state indicate con precisione in quanto il pentito Di Carlo le quantifica in 100 milioni di lire, mentre il pentito Galliano parla di un regalo di 50 milioni fatto dall’imprenditore, e il pentito Cucuzza parla di versamenti di 50 milioni l’anno. Quel che e’ ”rimasto invariato e ripetuto” sottolinea la Cassazione e’ ”il tema della ricerca e del raggiungimento di un accordo tra Berlusconi e Cosa Nostra per il tramite di Cina’ e di Dell’Utri”. Accordo – prosegue la Cassazione – ”volto a realizzare una proficua e reciproca collaborazione di intenti”.

Spiegano i supremi giudici – nella sentenza 15727 di 146 pagine – che in maniera ”corretta” sono state valutate, dai giudici della Corte d’Appello di Palermo, le ”convergenti dichiarazioni” di piu’ collaboratori sul tema ”dell’assunzione, per il tramite di Dell’Utri, di Mangano ad Arcore, come la risultante di convergenti interessi di Berlusconi e di Cosa Nostra”. Provata anche la ”non gratuita’ dell’accordo protettivo, in cambio del quale sono state versate cospicue somme da parte di Berlusconi in favore della mafia”.

Per quanto riguarda l’assunzione del mafioso ‘Stalliere’ Mangano alla villa di Arcore, ad avviso della Suprema Corte il dato di fatto ”indipendentemente dalle ricostruzioni dei cosiddetti pentiti, e’ stato congruamente delineato dai giudici di merito come indicativo, senza possibilità di valide alternative, di un accordo di natura protettiva e collaborativa raggiunto da Berlusconi con la mafia per il tramite di Dell’Utri che, di quella assunzione, e’ stato l’artefice grazie anche all’impegno specifico profuso da Cina”’.

L’appello bis del processo per concorso esterno che la Corte d’Appello di Palermo dovrà rifare nei confronti del senatore Marcello Dell’Utri, potrebbe non cadere in prescrizione. Lo dice la Cassazione nelle motivazioni della sentenza 15727. Secondo la Cassazione, infatti, si potrebbe applicare ”il regime della prescrizione antecedente alla riforma del 2005 che valorizza il reato continuato”. Cosi’ i termini della prescrizione cambierebbero ”in pejus” per Dell’Utri e la prescrizione non cadrebbe nel 2014.

Deve essere provato il concorso esterno di Marcello Dell’Utri, a favore di Cosa Nostra, per gli anni che vanno dal 1977 al 1982, periodo durante il quale Dell’Utri – scrive la Cassazione nelle motivazione della sentenza 15727 – non lavoro’ piu’ per Berlusconi ma venne assunto ”alle dipendenze di imprenditore diverso e autonomo, il Rapisarda”.

Spiega la Cassazione che per il periodo 1977-1982, nel verdetto della Corte d’Appello, c’è ”un totale vuoto argomentativo per quanto concerne la possibile incidenza di tale allontanamento sulla permanenza del reato già commesso”.

E’ questo il motivo fondamentale in base al quale la Cassazione ha annullato con rinvio la condanna a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa inflitta a Dell’Utri in appello.

Dalla circostanza che Silvio Berlusconi, alla meta’ degli anni Settanta, ha pagato Cosa Nostra, con l’intermediazione di Dell’Utri, per garantire la sicurezza sua personale e dei suoi familiari, non ne discende, come un teorema ”irresistibile”, la conseguenza che, allora, la mafia appoggio’, venti anni dopo, l’ascesa di Forza Italia. Lo sottolinea la Cassazione nella sentenza.

Giustamente – ad avviso della Cassazione che lo spiega nella sentenza su Dell’Utri – i giudici della Corte di Appello di Palermo hanno sbarrato la strada alla testimonianza di Massimo Ciancimino, contro la cui esclusione ha protestato la Procura di Palermo. Nelle motivazioni dell’annullamento con rinvio del verdetto su Dell’Utri, i supremi giudici rilevano che il figlio di don Vito avrebbe dovuto parlare dei rapporti tra Dell’Utri e la mafia ”in termini assolutamente generici e dunque incompatibili con le finalita’ dell’istruttoria in appello che non possono essere ampie ed esplorative come il giudizio di primo grado”.

Inoltre le dichiarazioni di Ciancimino sarebbero state di ”inaffidabilita’ difficilmente superabile sul piano della logica” in quanto avrebbero riportato ”eventi che il padre avrebbe appreso da terzi riguardo la presunta compromissione di Dell’Utri e dunque dichiarazioni de relato di secondo grado”.

Bocciata, dunque, la modalità di ”progressione accusatoria” delle dichiarazioni di Ciancimino ”a proposito del coinvolgimento di Dell’Utri in rapporto con capi mafiosi”.  In proposito la Cassazione ricorda che ”simili rapporti tra Dell’Utri e Provenzano sono stati enunciati e verbalizzati – peraltro come frutto di conoscenze de relato – solo nell’ennesimo interrogatorio del 20 novembre 2009, dopo che, nei precedenti interrogatori del 2008 e del 2009 quello (Ciancimino) si era limitato a dire che Dell’Utri era solo nei progetti di contatto del genitore e poi destinatario di lettere del padre. Addirittura al pm di Palermo – conclude la Cassazione – nel dicembre dello stesso anno, aveva smentito la notizia sostenendo che era falsa”.

 

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