Cassazione: “Non c’è prova di dolo da parte di Daccò in bancarotta San Raffaele”

MILANO – Non è stato provato che Pierangelo Daccò era a conoscenza dello ''stato di decozione'', ossia del dissesto finanziario in cui versava il San Raffaele. Sono queste le motivazioni con cui la Cassazione ha annullato l'ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti del procacciatore d'affari, che è stato poi destinatario di altre due misure, una per associazione a delinquere e un'altra nell'ambito dell'inchiesta con al centro la Fondazione Maugeri.

Lo scorso 10 febbraio, la Suprema Corte, accogliendo il ricorso dell'avvocato Giampiero Biancolella, ha annullato l'ordinanza di custodia cautelare per concorso in bancarotta che il 16 novembre scorso aveva portato in carcere Dacco'. Si era trattato pero' di un annullamento 'con rinvio' e cio' vuol dire che dopo il deposito delle motivazioni, avvenuto oggi, il gip di Milano Vincenzo Tutinelli dovra' motivare di nuovo la misura cautelare.

Secondo la Cassazione, infatti, deve essere ''approfondito'' l'aspetto ''che non risulta concretamente sviluppato dai giudici del merito'' sulla ''esistenza del dolo del concorrente 'estraneus''', ossia di Dacco', nel delitto ''di bancarotta fraudolenta per distrazione''. In sostanza, per i giudici deve essere provato che l'uomo d'affari avesse la consapevolezza ''dello stato di decozione'' del gruppo ospedaliero. La nozione di ''distrazione fraudolenta'' dei fondi dalle casse del gruppo, infatti, comporta, per la Cassazione, ''la consapevole e ingiustificata esposizione al repentaglio delle ragioni dei creditori''.

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