La Cassazione: “Vantarsi delle proprie prestazioni sessuali non è reato”

ROMA – Vantarsi della propria attività sessuale o delle proprie prestazioni non è reato: lo ha stabilito una sentenza della Corte di Cassazione, che ha assolto un muratore di 47 anni della Val Badia.

L’uomo era stato condannato dal giudice di pace di Brunico per diffamazione aggravata, per avere raccontato nel corso di una cena di avere effettuato dei lavori di ristrutturazione presso un cantiere e di aver “unito l’utile al dilettevole” intrattenendo con due sorelle conosciute al cantiere “rapporti sessuali a tre”.

A determinare l’assoluzione dell’uomo è stato il fatto che questi aveva sì parlato del suo menage a trois, ma lo aveva fatto con discrezione, in modo che le dirette interessate non erano identificabili.

L’uomo, infatti, aveva fatto solo i nomi delle donne, senza il cognome né il luogo degli incontri. La tesi difensiva ha fatto breccia tra i magistrati di piazza Cavour che hanno annullato la sentenza impugnata “perché il fatto non sussiste”.

La Corte ha chiarito che “in tema di delitti contro l’onore, l’elemento psicologico della diffamazione consiste non solo nella consapevolezza di pronunziare o di scrivere una frase lesiva dell’altrui reputazione ma anche nella volontà che la frase denigratoria venga a conoscenza di più persone”.

Si ha diffamazione, poi, solo nel caso in cui “le persone cui le frasi si riferiscono” siano “individuabili”.

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