ROMA – I primi colpi li ha sparati al terzo piano. Ha ucciso. Poi è sceso di un piano. Ha sparato e ucciso ancora. E’ scappato e aveva altre munizioni per sparare e uccidere ancora. In tutto Claudio Giardiello ci ha messo tre minuti. Tre minuti in cui ha sparato 13 colpi. Con una precisione inquietante per uno che è un imprenditore e che fino ad oggi non sembrava un freddo cecchino. E invece, oggi, ha pianificato tutto nei minimi particolari. Una “vendetta contro chi mi ha rovinato la vita”, ha detto ai carabinieri che lo hanno immobilizzato, disarmato e arrestato mezz’ora dopo la fuga. Ma come ha fatto Giardello ha pianificare i suoi tre minuti di furia omicida? Perché di piano si è trattato, studiato nei minimi particolari.
Poco prima delle undici Giardiello è entrato in tribunale. Non è entrato dall’ingresso principale dove, contrariamente a quanto scritto da agenzie e giornali in un primo momento, tutti i metal detector erano funzionati. Giardiello è entrato da un ingresso laterale, di quelli utilizzati da personale e avvocati. Per evitare la perquisizione ha mostrato un tesserino da avvocato. Falso, probabilmente. Ma la falla nella sicurezza, la prima e macroscopica è questa: è bastato un tesserino plastificato per entrare con una pistola calibro 7’65 e diversi caricatori pieni in un Tribunale.
Superato il controllo Giardiello è salito al terzo piano. Là c’era il “suo” processo. Quello in cui era imputato insieme ad altre due persone per bancarotta fraudolenta. Ha scelto con cura il giorno Giardiello. Quello in cui deponeva come testimone un suo ex avvocato che lo aveva scaricato perché a suo dire la posizione del cliente era insostenibile. Ma non era là per fare l’imputato. Racconta chi lo ha visto che Giardiello, a un certo punto, ha estratto la pistola. L’ha puntata prima contro il pm Luigi Orsi, ha detto qualcosa. Ha sparato più di una volta. Ma il pm si è accucciato, ha evitato i colpi. Che invece hanno centrato, uno al cuore, il suo ex avvocato Lorenzo Alberto Claris Appiani. L’avvocato che lo aveva scaricato. Lo ha ucciso subito. Poi ha sparato ancora. Si è voltato verso altre persone, Davide Limongelli (socio di Giardiello), Giorgio Erba (imputato insieme a lui) e Stefano Verna, commercialista e altro testimone del processo. Li ha centrati tutti e tre.
Erba è stato centrato da diversi colpi, è morto in ospedale poco dopo nonostante un disperato intervento. Limongelli è in condizioni gravissime, Verna è stato quello più “fortunato”. Ma Giardiello non si è fermato. Dopo gli spari è fuggito, è riuscito a scendere al secondo piano e mentre la polizia entrava nell’aula della prima strage ha colpito ancora. Ha cercato e trovato Fernando Ciampi, giudice fallimentare. Aveva un “precedente” anche Ciampi, aveva decretato il fallimento di una delle aziende a cui era collegato. Giardiello lo ha trovato e gli ha sparato: lo ha centrato due volte. Aveva 75 anni Ciampi, stava per andare in pensione. L’ultima cosa che ha fatto è stata tentare di fare scudo con il suo corpo a una collega che si trovava in quella stanza.
Poi Ciampi in qualche modo è riuscito a fuggire. Nonostante in quei tre minuti il Tribunale fosse diventato un inferno. Forse ha approfittato del caos, forse è riuscito persino a far credere di essersi asserragliato in una stanza. Invece era in moto, diretto a Vimercate. Come ha spiegato il presidente del Consiglio Matteo Renzi quando i carabinieri lo hanno bloccato hanno trovato altri caricatori. A Vimercate c’era un altro suo ex socio. E’ lui che deve dire grazie, più di tutti, a quei carabinieri (sempre Renzi li ha definiti “eroici”) che sono riusciti a bloccare l’imprenditore killer.