Il Comune di Foggia viene sciolto per mafia: una presenza talmente radicata di criminalità che addirittura alcuni si assegnavano da soli le case popolari. Le indagini svolte hanno evidenziato la presenza “di concreti, univoci e rilevanti elementi su collegamenti tra gli amministratori locali e la criminalità organizzata”. Sulla base di queste valutazioni il Consiglio dei ministri ha sciolto il Comune di Foggia ed ha affidato ad una commissione straordinaria la gestione dell’ente.
La nuova commissione del Comune di Foggia
La commissione, secondo la proposta avanzata dal ministro Lamorgese al Cdm, sarà composta dal prefetto a riposo Marilisa Magno, dal viceprefetto Rachele Grandolfo e dal dirigente Sebastiano Giangrande. Il Comune era già sciolto, ma solo in via ordinaria, dopo le dimissioni rassegnate dall’ex sindaco lo scorso 4 maggio e non revocate entro i 20 giorni dalla loro presentazione. Nell’inchiesta, secondo cui è emerso un giro di tangenti al Comune di Foggia, sono coinvolti diversi dipendenti comunali.
La decisione di sciogliere il Comune di Foggia
La commissione il 29 luglio ha consegnato una durissima relazione al prefetto di Foggia, Carmine Esposito. Rapporto che il prefetto ha inviato al ministero dell’Interno e sul quale si basa la decisione di sciogliere immediatamente il Comune. Nella relazione di sei pagine si evidenzia che dal 2014 denunciati atti intimidatori nei confronti di alcuni consiglieri comunali e che esisteva una preoccupante pressione criminale sul Comune. Dal febbraio 2021 – si legge – le inchieste giudiziarie legate ad ipotesi di corruzione hanno coinvolto amministratori pubblici.
“Dalle indagini conseguenti ai fatti corruttivi – si legge – traspare un quadro inquietante della realtà amministrativa dell’Ente. Che attesta uno sviamento del munus pubblico in favore degli interessi della criminalità organizzata”. Tra gli episodi contestati anche frequentazioni, parentele e legami affettivi da parte dei consiglieri comunali con esponenti locali della criminalità organizzata. Al centro delle presunte pressioni e infiltrazioni mafiose anche appalti legati al sistema di videosorveglianza, l’assegnazione di case popolari ad affiliati ai clan. L’assenza di certificati antimafia per alcune imprese che hanno gestito servizi pubblici.