ISOLA DEL GIGLIO (GROSSETO) – E’ la sera del 13 gennaio, la nave Costa Concordia sta per avvicinarsi all’Isola del Giglio. Sono le ore 21.40, il comandante Francesco Schettino telefona all’ex comandante Mario Palombo. Lo informa che dopo poco la crociera avrebbe fatto il saluto proprio di fronte al Giglio, “l’inchino”, come lo chiamano i marinai.
Appena cinque minuti dopo la Concordia si scontra con gli scogli, la chiamata viene interrotta dall’impatto. Due minuti dopo, alle 21.47 Palombo prova a ritelefonare, digita il numero di Schettino per due volte, ma senza esito. Passa un minuto, Schettino a quel punto si rivolge al primo ufficiale, gli chiede di vedere come è la situazione nella sala macchine. E’ già tutto allagato.
Alle 21.49 è Palombo, scrive il Corriere della Sera, ad avvertire la Costa Crociere che stava succedendo qualcosa, chiede informazioni. Scatta l’allarme della Guardia di finanza. Il gigante dei mari da 115 mila tonnellate per 90 metri comincia a rallentare, la velocità raggiunge i 4 nodi. La Concordia prova a svoltare a sinistra, cerca di arrivare al porto dell’Isola. Già ci sono alcuni feriti a bordo.
Alle 21.58 la nave è sempre più vicina agli scogli di punta Gabbianella, ha una velocità di 2 nodi circa. Alle 22.05 Costa Crociere chiama Schettino sulla nave, il comandante dice di avere “problemi a bordo”. Un minuto dopo è la telefonata di una passeggera ai parenti di Prato che fa scattare l’allerta: i carabinieri, avvertiti dalla famiglia, chiamano la Capitaneria di Livorno. Gli ufficiali trovano la nave con i satelliti, contattano Schettino e lui racconta solo di un blackout. Sono le 22.14, un minuto dopo la Capitaneria insiste e vuole informazioni. I passeggeri sulla Concordia hanno già il giubbotto salvagente, ma dalla plancia ribadiscono che è solo una questione di corrente.
Dieci minuti dopo dalla nave ammettono i problemi, parlano di una “via d’acqua”, ma dicono che “è tutto a posto”. Passano cinque minuti e la Capitaneria decide di lanciare l’allarme. Alle 22.42 la nave è già ferma e tre minuti dopo iniziano i soccorsi, parte la fuga dei passeggeri, anche se il comandante non ha ancora dato l’ok. Solo alle 22.58 scatta ufficialmente l’avviso di abbandono della nave: per sette volte suonano le sirene e un fischio prolungato. L’evacuazione entra nel pieno.
Poi cominciano le contraddizioni di Schettino. Alle 00.32 la Capitaneria contatta di nuovo il comandante, lui è sugli scogli, è già andato via dalla nave ma mente con gli ufficiali che gli chiedono quante persone ci sono ancora a bordo. Il comandante risponde: “Due-trecento, ma ora torno sul ponte. Ero andato a poppa a vedere che cosa stava succedendo”. Eppure a quell’ora la nave è ancora piena, ci sono migliaia di passeggeri. Dopo dieci minuti il telefono di Schettino squilla ancora.
Lui risponde e dice un’altra bugia: “Manca ancora una quarantina di persone che deve scendere”. Dall’altra parte del telefono capiscono tutto: “Com’è possibile così poche? Lei è a bordo?”. Schettino ora dice la verità: “No, non sono a bordo perché la nave sta appoppando, l’abbiamo abbandonata”. Così finisce nel mirino dei sospetti anche Dimitri Christidis, comandante in seconda della Concordia. Poi il comandante mente ancora: “Ma come abbandonata?”, gli chiedono. Lui: “No, no, sono qui”. All’1.46 la Capitaneria gli dà ordine di tornare sulla nave e coordinare le operazioni di evacuazione: “Lei mi deve dire quante persone ci sono – quante donne, quanti bambini e deve coordinare i soccorsi. Comandante questo è un ordine, adesso comando io. Lei ha dichiarato l’abbandono della nave e va a coordinare i soccorsi a prua, d’accordo? Ci sono già dei cadaveri”. Schettino si tradisce ancora: “Quanti?”, “Dovrebbe dirmelo lei”. Poi il comandante dice all’ufficiale: “Va bene, sto andando”. Ma è una bugia, Schettino non sale sulla nave.
Durante l’interrogatorio davanti al giudice per le indagini preliminari dirà che non ha abbandonato la nave: “Non sono fuggito, solo caduto dalla scialuppa. Non è vero che sono scappato. Ero caduto accidentalmente fuori dalla nave sul tetto di una scialuppa e non sono più riuscito a risalire perché la scialuppa è rimasta appennellata, sospesa. Poi sono rimasto su uno scoglio del Giglio a coordinare le operazioni di sbarco, se avessi voluto fuggire lo avrei fatto…”.
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