GROSSETO – “Lo sapevano tutti che mi avrebbero condannato. Ma la nave non l’ho abbandonata, questo non lo posso accettare”. Francesco Schettino non c’è nell’aula del teatro moderno di Grosseto quando il giudice, per un’ora di fila, legge la sentenza che lo condanna a 16 anni. “Sto male, non ce la facevo proprio”. Ma quando gli riferiscono che tutte le accuse sono state accolte, compresa quella di aver lasciato la nave al suo destino, sbotta: “Combatterò fino alla fine, non mi arrendo”.
Per 5 anni Schettino non potrà più essere comandante di una nave e per quattro mesi non potrà utilizzare neanche il titolo, la sentenza dice anche questo. “Aspetterò di leggere le motivazioni della sentenza”, si limita a dire. Perché ora il concetto che gli fa più male è sempre quello: “Cercherò per sempre di dimostrare che non ho abbandonato la nave”.
Lontano dalle telecamere, lontano da tutti, Schettino sa comunque che quella notte ha sbagliato. E per la prima volta, nelle sue dichiarazioni spontanee rese prima che i giudici si ritirassero in camera di consiglio, le lacrime hanno sostituito quella sicurezza che l’ha accompagnato per buona parte del processo. Così Schettino ha finalmente detto quel che forse avrebbe dovuto dire fin dall’inizio, da quella tragica notte di gennaio 2012.
“Quella sera, ma forse non è stato compreso abbastanza, sono in parte morto anch’io. Ma già tre giorni dopo il naufragio, dal 16 gennaio, la mia testa è stata offerta con la convinzione errata di salvaguardare interessi economici.
Mi hanno accusato di mancanza di sensibilità per le vittime: ma cospargersi il capo di cenere è un modo per esibire i propri sentimenti. Una scelta che non ho fatto, che non ho voluto fare. Il dolore non va esibito, perché non va strumentalizzato”.
Però magari chiedere scusa non avrebbe fatto male. Il comandante non lo dirà mai, ma stasera ha tirato un sospiro di sollievo. Perché il rischio che il tribunale accogliesse la richiesta, assurda, dei pm a 26 anni, c’era. Non era così scontato ma c’era. Ed infatti il suo avvocato non si dice soddisfatto, ma non può negare che sia andata bene: “Gli hanno ridato un po’ di onore”.
“Ho vissuto tre anni in un innegabile tritacarne mediatico la cui violenza, se non subita, è difficile da comprendere – ha detto lui in aula – Questo, unito al dolore per quanto accaduto, rende difficile definire vita quella che attualmente sto vivendo. Mi hanno isolato, processualmente e umanamente, offrendo un’immagine di me ai media che non corrisponde alla verità”.
E qual è la verità?
“Mi sono assunto le mie responsabilità. Ma quella nave non l’ho abbandonata”.
I commenti sono chiusi.