Coronavirus, foto d'archivio Ansa Coronavirus, foto d'archivio Ansa

Coronavirus, l’infettivologo Andreoni: “Ci sono ancora ricoveri. Avremo ancora 5-6 mesi critici”

L’infettivologo Andreoni: “Coronavirus? Ci sono ancora ricoveri. Avremo ancora 5-6 mesi critici”.

“Coronavirus? I ricoveri ci sono, non è vero che abbiamo solo a che fare con asintomatici.

Diminuiscono i pazienti nelle terapie intensive perché in media i nuovi positivi sono più giovani, ma l’epidemia rischia di raggiungere anche i soggetti fragili.

Inoltre, il 50% dei pazienti più gravi quando guarisce non ritrova subito lo stato di salute che aveva prima di ammalarsi. In sintesi: bisogna essere molto prudenti”.

Intervistato dal Messaggero, Massimo Andreoni, direttore di Malattie infettive al Policlinico Tor Vergata di Roma e direttore scientifico della Società italiana di malattie infettive e tropicali (Simit), avverte che è ancora non è finita la guerra contro il coronavirus.

In attesa di un vaccino contro il nuovo coronavirus, “abbiamo 5-6 mesi critici di fronte a noi. Dobbiamo resistere”.

Tra i nuovi positivi a Sars-CoV-2, sottolinea, “c’è sicuramente una maggioranza di asintomatici” che “si trovano con la sierologia o perché contatti di un altro contagiato. Ma non tutti sono senza sintomi”.

“L’incremento dei numeri a macchia d’olio in tutta Italia è preoccupante – ammonisce l’infettivologo -.

E anche il numero dei ricoverati non è basso. Solo nel Lazio sono 180″.

E anche se i malati in terapia intensiva sono pochi, per i degenti “negli altri reparti i sintomi sono sempre quelli che ormai conosciamo.

Abbiamo imparato a ricoverare i pazienti prima, in modo da evitare che si aggravino.

Questo aiuta, ma allo stesso tempo questa recrudescenza preoccupa molto”.

Insomma, il messaggio del direttore scientifico Simit è che “i casi sono sì meno gravi di quelli della prima ondata, ma solo perché sono soggetti più giovani.

Di questo passo l’epidemia raggiungerà anche i più fragili e sarà un problema.

Il virus non ha modificato le sue caratteristiche”.

“Purtroppo – osserva – in questa fase estiva, in cui speravamo di avere una tregua, un’eccessiva imprudenza generalizzata, gli assembramenti e il sovraffollamento di alcuni luoghi di cui tanto si parla non ci stanno aiutando.

E abbiamo gli effetti anche dell’arrivo di casi dall’estero perché nel mondo la pandemia è al massimo”.

L’infettivologo ricorda poi che Covid-19 può lasciare dei segni:

“Insufficienze respiratorie severe sono rare, ma ci sono.

L’astenia profonda, un rapido affaticamento, è presente.

Il virus lascia dei postumi che dobbiamo capire meglio, così come dobbiamo comprendere come fare riabilitazione.

Tra i casi più gravi, il mancato recupero dello stato di salute precedente alla malattia c’è nel 50% dei pazienti; conseguenze più serie, come un’insufficienza respiratoria, nel 10%. Non è una regola assoluta”.

“Ci sono soggetti che hanno avuto la malattia in forma lieve, ma stentano a recuperare”.

E infine, “non mancano problemi psicologici e anche psichiatrici”.

L’esperto fa poi il punto sui trattamenti anti coronavirus Sars-CoV-2 cominciando dal remdesivir:

“L’unico antivirale, di fatto, che dà risultati.

E’ stato testato su pazienti con la malattia già avanzata.

Ora lo stiamo sperimentando in fasi precedenti.

La mia opinione è che debba essere utilizzato il prima possibile, perché gli effetti del virus sono, nella fase iniziale, rilevanti. Noi a Tor Vergata lo stiamo usando”.

Anche se “il remdesivir ha una buona efficacia”, ancora “non è risolutivo”.

Ma “bisogna essere onesti: ancora non abbiamo nel mondo una terapia efficace”.

“Abbiamo migliorato la strategia, ma ancora abbiamo difficoltà nel controllare la malattia nei casi più gravi”.

All’orizzonte ci sono poi vaccino e anticorpi monoclonali.

Cosa avremo prima?

“Difficile fare una scommessa – risponde Andreoni -.

In questo momento appare più vicino il vaccino, secondo me.

Gli anticorpi sono a una fase di sperimentazione iniziale.

Abbiamo invece almeno tre vaccini in una fase avanzata di sperimentazione.

Ciò che sta succedendo in Italia e nel mondo dimostra che del vaccino c’è bisogno”.

“Dobbiamo gestire questo periodo di tempo che ci separa dal vaccino o da qualche strategia terapeutica”, stimabile secondo lo specialista in 5-6 mesi. “Dobbiamo resistere”. (Fonte: Il Messaggero).

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