Coronavirus Italia, 7 giorni per sapere se si ferma. Parola d’ordine: tenersi a distanza

di Redazione Blitz
Pubblicato il 2 Marzo 2020 - 09:31 OLTRE 6 MESI FA
Coronavirus in Italia, i prossimi 7 giorni per sapere se si ferma. Parola d'ordine: tenersi a distanza

Coronavirus Italia, 7 giorni per sapere se si ferma. Parola d’ordine: tenersi a distanza (foto d’archivio Ansa)

ROMA – Coronavirus Italia, contagio in Italia da coronavirus. Per ora avanza, veloce. Forse più veloce di quanto si immaginasse e si sperasse. Si va in queste ore verso i duemila contagiati. Per fortuna il numero dei contagiati non è tutto e non è il più dell’epidemia. L’importante sono i focolai, e i focolai di contagio in Italia restano, sembrano restare solo due: la zona dei dieci Comuni nel Lodigiano e il Comune euganeo. Nessuna città è focolaio e questa è ottima cosa da conservare. Solo due focolai, per fortuna. Anche se probabilmente focolai più profondi nel tempo di quanto si supponesse: coronavirus ha viaggiato libero e sotto traccia per diverse settimane prima di essere per così dire scoperto.

Coronavirus Italia contagio che per ora avanza veloce ma questo era in qualche modo nel conto, nella normalità delle epidemie. La questione, una delle vere e grandi questioni, è se le misure di contenimento fermano o almeno significativamente rallentano il contagio. Ieri Silvio Brusaferro a nome dell’Istituto Superiore della Sanità, ha ricordato al paese ciò che si sa fin dall’inizio ma che la voglia di disfarsi del coronavirus fa dimenticare: ci vogliono due settimane per vedere se la quarantena funziona. Due settimane, una è passata, un’altra resta da passare.

Quarantena proprio non è, quarantena totale è solo negli 11 Comuni della Zona Rossa. Altrove sono misure di contenimento. Alcune chiare e ovvie, altre esitanti e discusse. Alcune tollerate e condivise, altre sofferte come gabbia imposta o cervellotica disposizione. Purtroppo il governo e la politica tutta disattendono la regola prima da millenni da osservare in casi di emergenza: l’ultima cosa da fare è cercare consenso e condivisione alle scelte. Emergenza reale e consenso sono diavolo ed acqua santa.

Tra una settimana, e sarà una settimana a dir poco nevrotica, sapremo se chiudere cinema e teatri, se limitare spostamenti, se chiudere scuole e università, se tentare di diminuire le occasioni di contatti di massa, se le indicazioni di sanità anti contagio…Sette giorni per sapere se tutto questo agire e parlare, contemporaneamente drastico ed esitante, ha fermato o rallentato il contagio. Che ci volessero due settimane almeno per tentare lo sapevamo dal primo giorno. Ma non c’è pazienza sociale per ricordarselo e neanche pazienza comunicativa. Quindi la notizia: altri sette giorni.

Nel frattempo l’altra grave questione: la sincronia dei contagi. Su dieci contagiati meno di uno finisce, deve finire in terapia intensiva. In Lombardia ci sono circa 900 posti in reparti di terapia intensiva, in Italia circa 5 mila. Non pochi in assoluto. Ma se coronavirus contagia veloce, quella percentuale di uno su dieci diventa numero assoluto enorme e ingestibile e coronavirus diventa cosa ingestibile dal punto di vista socio sanitario (dove si mettono i malati?).

Ed ecco quindi l’appello, la parola d’ordine: state a distanza. Parola d’ordine insieme saggia e ingenua: stare ad almeno un metro di distanza l’uno dall’altro quando si lavora, si compra e si vende, si entra a contatto col prossimo è saggio e utile. Ma drammaticamente ingenuo. Bar, ristoranti e pub dove si serva solo al tavolo e non al banco, chi lo farà, chi ci starà attento davvero? La parola d’ordine tenersi a distanza di un metro che i sanitari lanciano a ragion veduta come impatterà sulla ragione collettiva di quell’essere non razionale che è la collettività?