ROMA – La fulminea diffusione del nuovo coronavirus nelle regioni del Nord ha fatto balzare l’Italia al terzo posto per numero di contagi in tutto il mondo. A parte la Cina, siamo dietro solo alla Corea del Sud (602 casi), superando il Giappone (fermo a 135). Ma perché il virus è arrivato e si è diffuso rapidamente proprio qui? Anche in altri Paesi Ue ci sono stati casi ma non un contagio così esteso.
A spiegarlo è il professor Massimo Galli, docente all’Università degli Studi di Milano e primario del reparto di Malattie infettive dell’Ospedale Sacco, il centro di riferimento per l’emergenza nel Nord Italia. Al Corriere della Sera Galli spiega che l’epidemia italiana è partita da un ospedale.
“Da noi si è verificata la situazione più sfortunata possibile – ha detto l’esperto – cioè l’innescarsi di un’epidemia nel contesto di un ospedale, come accadde per la Mers a Seul nel 2015. Purtroppo, in questi casi, un ospedale si può trasformare in uno spaventoso amplificatore del contagio se la malattia viene portata da un paziente per il quale non appare un rischio correlato: il contatto con altri pazienti con la medesima patologia oppure la provenienza da un Paese significativamente interessato dall’infezione. Chi è andato all’ospedale di Codogno non era stato in Cina e, fra l’altro, la persona proveniente da Shanghai che a posteriori si era ipotizzato potesse averla contagiata è stato appurato non aver contratto l’infezione. Non sappiamo quindi ancora chi ha portato nell’area di Codogno il coronavirus, però il primo caso clinicamente impegnativo di Covid-19 è stato trattato senza le precauzioni del caso perché interpretato come altra patologia”.
I casi di coronavirus in Italia sono 153, comprendendo anche tre decessi e un guarito. Nel dettaglio regionale, abbiamo: 113 in Lombardia (con due decessi), 22 in Veneto (con un decesso), 9 in Emilia Romagna, 3 in Piemonte (e non 6 come comunicato dalla Regione in un primo momento), 3 in Trentino Alto Adige e 3 nel Lazio (con un guarito).
Il virus è ormai arrivato e non ci resta che continuare a vivere, evitando psicosi e affidandoci alle indicazioni delle autorità.
“L’epidemia ospedaliera implica una serie di casi secondari e terziari, e forse anche quaternari – ha spiegato ancora Galli – Dobbiamo capire ora bene come si è diffusa l’infezione e come si diffonderà. Che poi la trasmissione sia avvenuta inizialmente davvero in un bar o in un altro luogo andrà verificato quando avremo a disposizione una catena epidemiologica corretta. Quello che si può dire di sicuro è che queste infezioni sono veicolate più facilmente nei locali chiusi e per contatti relativamente ravvicinati, sotto i due metri di distanza”.
Ma come ha fatto il virus ad arrivare in Italia? “È verosimile che qualcuno, arrivato in una fase ancora di incubazione, abbia sviluppato l’infezione quando era già nel nostro Paese con un quadro clinico senza sintomi o con sintomi molto lievi, che gli hanno consentito di condurre la sua vita più o meno normalmente e ha così potuto infettare del tutto inconsapevolmente una serie di persone. Se l’avessimo fermato alla frontiera avremmo anche potuto non renderci conto della sua situazione. D’altro canto in Francia un cittadino britannico proveniente da Singapore ha infettato diverse persone pur arrivando da una zona non considerata ad alto rischio”.
Fonte: Corriere della Sera