ROMA – “Ogni giorno vengo a lavorare con la paura, abbiamo contatti con detenuti anche positivi”.
A parlare all’agenzia Ansa è un agente di polizia penitenziaria del carcere delle Vallette.
Agente che lavora nel reparto dei detenuti in stato di semilibertà.
“Su dieci colleghi – racconta l’agente – due sono risultati positivi, uno è a casa che sta male in attesa di tampone, insieme alla famiglia, un altro è stato in ospedale con una polmonite ma non è chiaro se si tratti di Covid-19”.
“Lavoriamo con agitazione – spiega – Non riusciamo a capire perché non facciano i tamponi a tutti”.
Secondo l’Osapp, l’Organizzazione sindacale autonoma di polizia penitenziaria, nel carcere di Torino i detenuti positivi sono stati sessanta.
Di questi sessanta una trentina dei quali è ancora dietro le sbarre.
Tra gli agenti, invece, i positivi sono stati 14, tra le Vallette e il provveditorato generale.
“Non esisterà mai una fase 2 nelle carceri italiane se non verrà fatta chiarezza sugli errori commessi – spiega Leo Beneduci, segretario generale dell’Osapp – E’ necessario che si facciano i tamponi a tutta la comunità penitenziaria”.
Le parole del segretario nazionale dell’Associazione nazionale dirigenti e funzionari di Polizia penitenziaria.
“La situazione negli istituti penitenziari è di calma apparente, ma occorre cominciare a pensare anche per gli istituti penitenziari alla fase 2”.
A dichiararlo è Daniela Caputo, segretario nazionale dell’Associazione nazionale dirigenti e funzionari di Polizia penitenziaria.
“Sul fronte del personale questo vuol dire – sottolinea – disponibilità di dispositivi individuali di protezione in quantità sufficiente per i ricambi giornalieri e regolari operazioni di sanificazione degli ambienti e dei mezzi; sul fronte della popolazione ristretta, misure utili a contenere eventuali contagi di ritorno”.
“Sul fronte dei numeri – dice Caputo – le scarcerazioni non sono moltissime, ma per fortuna altri strumenti previsti dall’ordinamento hanno permesso una leggera flessione delle presenze.
I video-colloqui stanno funzionando bene e le telefonate straordinarie autorizzate in massa hanno trovato il gradimento della popolazione reclusa.
Ciò nonostante, l’insofferenza maggiore si registra per i ristretti affetti da problemi psichiatrici e di adattamento, per i quali più che di poliziotti il sistema necessita di operatori socio-sanitari.
Ecco perché guardiamo con interesse all’annuncio del reclutamento di tali figure da parte del Governo”.
“Non possiamo certo affermare che l’emergenza sia rientrata completamente, ma una corretta e trasparente informazione all’interno dei penitenziari, volta ad evitare inutili allarmismi tra i detenuti e i loro familiari all’esterno, è lo strumento usato per fronteggiare la situazione”.
. “È evidente che le voci di indulto o amnistie oggi più che mai appaiono strumentali.
Se proprio si vuole affrontare radicalmente il problema delle carceri più che sfollare, occorre investire in edilizia penitenziaria.
Costruire nuove e più moderne carceri.
Allo stesso modo, occorre cominciare a riflettere sul ruolo della Polizia Penitenziaria dentro e fuori dal carcere: il suo mandato istituzionale è quello di assicurare trattamento e sicurezza.
Ma per garantire la sicurezza, e non assistere più a scene come quelle delle rivolte di marzo, sarà necessario investire sull’equipaggiamento e sulla formazione del Corpo”. (Fonte: Ansa).