Coronavirus paziente 1 Mattia: In coma sognavo l'anticamera della morte Coronavirus paziente 1 Mattia: In coma sognavo l'anticamera della morte

Coronavirus, il paziente 1 Mattia: “In coma sognavo l’anticamera della morte”

ROMA – Il paziente 1 di Codogno, Mattia Maestri, è guarito dal coronavirus e racconta i due lunghi mesi della malattia. “Nel mio coma sognavo l’anticamera della morte. Ora davanti vedo il sole”, ha detto in una lunga intervista a Repubblica, spiegando di non essersi ancora ripreso del tutto e di aver ancora bisogno di stendersi a riposare.

Parlando a Repubblica, il 38enne Mattia dice: “Appena sedato a Codogno sono entrato in un limbo. Ero incosciente, a tratti sognavo ma non ricordo più cosa. Non soffrivo, però avevo la netta percezione che quella pace fosse l’anticamera della morte”.

Il paziente 1 del coronavirus di Codogno ha spiegato: “Questi due mesi sono stati sconvolgenti, molto più che inimmaginabili, altro che un film. All’improvviso mi sono ammalato, sono arrivato ad un passo dalla morte e sono risorto. Sono rimaste contagiate e sono guarite mia moglie e mia mamma. Il virus sconosciuto ha ucciso mio padre. E’ nata infine Giulia, la nostra prima figlia”.

Mattia racconta la sua esperienza: “Ho imparato a resistere e a credere nella differenza tra fiducia e utopia, a considerare essenziale ogni istante di normalità. La vita e la morte, senza offrirci l’opportunità di percepirlo, ogni giorno si sfiorano in silenzio attorno a noi”.

Il motivo per cui ha accettato di parlare, è “perché il mio caso può aiutare gli infettati a non mollare, i medici a continuare in un’impresa che rimette al centro il ruolo della scienza, i politici ad assumere decisioni coerenti con valori che pongano la vita sempre al primo posto”. 

Il paziente zero che lo ha contagiato, però “resta un mistero”: “Da mesi non ero andato all’estero. Sempre la stessa vita: il lavoro a Castelpusterlengo e gli amici tra Codogno e il Lodigiano. I medici mi hanno detto che da gennaio, non solo in Lombardia, erano esplose polmoniti incurabili, tra gli anziani era una strage, ma nessuno credeva che il coronavirus, fosse già arrivato in Europa. Con me, l’età ha fatto la differenza”.

E si lascia andare a una riflessione: “Il 20 febbraio il Covid–19 ufficialmente in Europa non aveva contagiato nessuno. Io sono ancora giovane e sportivo, eppure ero in fin di vita. Questa anomalia ha permesso di trovarlo e la scoperta non ha salvato solo me. Da quel momento ha permesso di diagnosticare il virus in migliaia di persone. C’è stato il tempo di curare in sacco di gente, di capire perché in tanti stavano già soffrendo”. (Fonte: ANSA, Repubblica)

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