Coronavirus, più contagi (4.694) e più morti (619), altro che Pasqua

ROMA – Coronavirus: più contagi e morti del giorno precedente, alla vigilia di Pasqua questi i numeri: 4.694 italiani contagiati in 24 ore (il giorno prima 4.204) e 610 italiani sono morti nelle stesse 24 ore (il giorno prima 570).

Quasi cinquemila contagi in un giorno sono tanti, troppi. Più di quanto medici e virologi si aspettassero a questo punto (30/40 giorni di tutti a casa-quarantena). Troppi rispetto perfino al calendario finora semi ufficiale (a maggio pian piano tutti fuori).

Troppi, tanto troppi per la politica e i cosiddetti governanti, ad esempio il fantasioso assessore Gallera l’altro giorno ha raccontato che il virus si è fatto più debole perché incontra meno gente. Deve averci parlato Gallera con coronavirus per avere di queste informazioni sull’umore del virus.

Quasi cinquemila contagi in un giorno, l’ultimo giorno prima di Pasqua, sono incompatibili con l’attesa, per ora delusa, della discesa del tracciato dell’epidemia. Ma sono il risultato, di cui si fatica a prendere atto, di quel che si è fatto, si è riusciti a fare, siamo stati capaci di fare e cioè una mezza quarantena che va erodendosi nei fatti. Senza questa mezza quarantena probabilmente ancora più contagi e morti, ma sarebbe saggio finirla con la retorica dell’italiano grande popolo che con grande responsabilità…

Mezza quarantena, metà della popolazione italiana si muove fuori di casa, si muove e si sposta, ogni giorno. Questa non è quarantena. E non tutti di quella metà di italiani che ogni giorno si muove fuori di casa lo fa per lavoro. Non c’è da approvare o condannare, c’è da constatare: un 10/20 per cento di italiani la quarantena se la fa a misura delle sue idee e soprattutto bisogni.

Ci si concede la corsa e la passeggiata lunga, molto lunga. Ci si concede l’uscita più volte al giorno da casa. Ci si sta concedendo in queste ore il pranzo di Pasqua radunando un po’ di famiglia, il familiare o l’amico che abita in altra casa, tanto non ci siamo ammalati, quindi vuol dire che siamo sani…

Ci si comincia a concedere qualche chiacchiera in strada e qualche nonno-nipote per mano in strada dietro l’illusoria protezione-corazza della mascherina. Mascherina che nessuno o quasi cambia ogni giorno e quindi è solo illusione. 

Ci si concede la suprema idiozia dello io esco perché mi ribello a regime autoritario e fascista!

Ci si concede il cullarsi, il giustificarsi per grattare via un po’ di quarantena, nel culto delle nuove medicine e nuove informazione mediche. Nella inconscia e inammissibile a se stessi constatazione che medicina non c’è, si elabora il culto religioso della medicina ascosa e miracolosa. Miracolosa perché ascosa e viceversa, come si conviene a mistica entità. Quindi con fervore ci si scambia il vero, il Verbo sulla malattia: il farmaco che cura, la vera natura della malattia…

Mezza quarantena che declina e sfuma in attesa del 4 di maggio. E poi di una metà di maggio in cui, per forza ineluttabile delle cose, per sopraggiunta e maturata intollerabilità economica e sociale dello stare fermi e a casa, la mezza quarantena finirà. Finirà quando la linea della tollerabilità sociale e quella dell’epidemia saranno ancora lontane e divergenti. Usciremo di casa quando non ne potremo più secondo un orologio che segnerà la corretta data in cui scadrà la collettiva e individuale capacità e possibilità di resistere. Ma a quella data epidemia ci sarà ancora, e non ridotta ai minimi termini.

La mezza quarantena ha dato quel che poteva, noi governati e governanti più di una mezza quarantena non siamo stati capaci. Prenderne atto e chiuderla al più presto questa mezza quarantena. Nei venti giorni che mancano, preparare molte terapie intensive, istruire e organizzare ospedali, tentare di farsi trovare capaci di intercettare svelti i nuovi malati perché un caso o due non diventino cento o duecento. E inventarsi ciascuno la qualunque su coronavirus e dintorni, è antichissima forma umana per esorcizzare quella di coltivare la rivelazione e il mistero.

Gestione cookie