Coronavirus, per prevenirlo sapone classico “di Marsiglia”. Valobra: “…e spazzolino da unghie”

GENOVA – Coronavirus, per prevenirlo, lavarsi le mani con il sapone è il mezzo più sicuro e efficace. Altro che candeggina. Lo conferma Guglielmo Valobra, per mezzo secolo a capo di uno dei migliori brand di sapone di alta gamma.

Genovese, ultrasettantenne, Valobra da sempre sostiene la superiorità del classico sapone di Marsiglia rispetto ai vari detersivi oggi in uso, a partire dai saponi liquidi. Il sapone di Marsiglia, precisa, in realtà nacque a Genova. Maestri saponificatori genovesi lo insegnarono ai francesi nel ‘600 quando Jean-Baptiste Colbert, padre dell’economia francese moderna, volle sviluppare a Marsiglia e dintorni un polo industriale del sapone.

“Il sapone classico, chimicamente sale di acidi grassi con una base forte come soda o potassa, è il mezzo d’elezione per lavarsi le mani e allontanare gli agenti patogeni”, ribadisce Valobra. Anche se di questi tempi non basta: “Oltre al sapone, bisogna usare anche lo spazzolino su tutta la mano e sullo spazio tra l’unghia e il polpastrello”.

Nessuno dovrebbe usare la varechina per lavarsi: “Tuttavia bisogna ricordare che la prima vera igiene generale e dell’ambiente è stata ottenuta grazie alla sintesi del cloro dal sale marino e l’introduzione della “eau de javel” ( candeggina) verso la fine del settecento”.

Le parole di Valobra trovano riscontro in un articolo di Sarah Gibbens pubblicato dal National Geographic americano. “Per circa 5.000 anni, gli uomini hanno inventato dei prodotti per la pulizia, ma la semplice combinazione di acqua e sapone rimane una delle armi più potenti contro le malattie infettive, incluso il nuovo coronavirus”.

Accade però, riconosce, “che quando si verificano epidemie come Covid-19 e si scatena il panico, le persone si affrettano a comprare tutti i tipi di detergenti chimici, molti dei quali non sono necessari o inefficaci a contrastare i virus”.

“Dagli scaffali dei negozi stanno scomparendo i disinfettanti per le mani in schiuma, anche se molti mancano della quantità necessaria di alcol – almeno il 60 percento in volume – per uccidere i virus”.

Nei paesi più colpiti dal coronavirus, le foto mostrano delle squadre in tuta protettiva che lungo i marciapiedi o all’interno degli edifici per uffici spruzzano soluzioni di candeggina. Gli esperti dubitano, tuttavia, che ciò sia necessario per neutralizzare la diffusione del coronavirus.

Usare la candeggina “è come usare un randello per schiacciare una mosca”, afferma Jane Greatorex, virologa della Cambridge University. Può perfino corrodere il metallo e se inalata eccessivamente e a lungo, comporta altri problemi di natura respiratoria.

“Lavando una superficie molto sporca con la candeggina, la sporcizia spazzerà via l’azione della candeggina” afferma Lisa Casanova, scienziata per la salute ambientale della Georgia State University. Con altri esperti dice che per disinfettare facilmente una superficie – all’interno o esterno – è eccellente l’uso di saponi più delicati, come il detersivo per piatti.

Per comprendere pienamente il motivo per cui i funzionari sanitari continuano a consigliare il sapone, è d’aiuto sapere come il coronavirus si trasmetta oltre che al corpo anche sulle superfici e cosa dicono le ricerche sulla sua durata.

Ormai è noto che il modo principale in cui avviene il contagio è la trasmissione da persona a persona. Lo stretto contatto sotto forma di un abbraccio, una stretta di mano o trovarsi in uno spazio pubblico affollato consente a chi è infetto di diffondere facilmente le goccioline del respiro, che in genere vengono emesse con uno starnuto o un colpo di tosse.

Ma le goccioline cadono anche sulle superfici e su alcune il virus resiste: in caso vengano toccate con la mano che poi viene passata sul naso o sulla bocca ed è inevitabile rimanere contagiati. Tutti i virus, termine che in latino significa “veleno”, sono microrganismi acellulari parassiti obbligati.

Queste infettanti e piccolissime particelle nucleoproteiche mancano infatti di una struttura cellulare e si replicano solamente sfruttando intermedi metabolici, enzimi e organelli della cellula ospite. Pur essendo incapaci di riprodursi, i virus possono comunque sopravvivere nell’ambiente esterno e rimanere per un certo tempo.

Alcuni virus sono avvolti dalla capside, rivestimento costituito da una o più proteine, e distruggerli richiede meno sforzo di quelli non avvolti, come il norovirus, che su una superficie può durare per mesi. I virus avvolti in genere sopravvivono solo per pochi giorni all’esterno del corpo e sono considerati tra i più facili da uccidere.

Eppure, ogni virus avvolto è diverso e gli scienziati di tutto il mondo stanno cercando di capire il SARS-CoV-2, il nome ufficiale del nuovo coronavirus.

Uno studio pubblicato sul New England Journal of Medicine ha osservato per quanto tempo il virus sopravvive su vari materiali. Dylan Morris, un biologo evoluzionista della Princeton University e co-autore dello studio, afferma che l’obbiettivo era quello di indagare quali superfici di ambienti sanitari potrebbero trasformarsi in un potenziale pozzo nero se toccate da pazienti infetti.

Hanno scoperto che SARS-CoV-2 sopravvive 24 ore sul cartone, due giorni su acciaio inossidabile e tre giorni su un tipo di plastica chiamato polipropilene. Il virus può essere rilevato solo per quattro ore sul rame, un materiale che abbatte naturalmente batteri e virus.

Lo studio ha inoltre rivelato che il nuovo coronavirus e il cugino SARS, che nel 2002-2003 ha scatenato una grave epidemia, sulle superfici soprovvivono per periodi di tempo simili.

Le persone che ordinano prodotti online per evitare la massa, in teoria potrebbero entrare in contatto con cartone contaminato, anche se gli U.S. Centers for Disease Control and Prevention Centri sottolineano che le superfici non sono ritenute il veicolo principale di trasmissione del virus.

Morris non vuole fare eccessive ipotesi sulle superfici che si toccano quotidianamente ma il suo consiglio è che in generale sarebbe bene lavare accuratamente gli oggetti e le mani.

Tuttavia il loro studio ha dei limiti. Il team ha esaminato il virus in un ambiente di laboratorio altamente controllato. Gli spazi che vengono toccati da molte persone, come il corrimano di una scala o l’asta presente sull’autobus, presenterebbero un rischio maggiore di contrarre il virus. Le condizioni ambientali possono anch’esse influenzare la durata del virus.

Si ritiene che l’umidità, ad esempio, renda più difficile il passaggio nell’aria delle goccioline del respiro ed è noto che la luce ultravioletta degrada i virus.

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