Coronavirus, riapertura alcune Regioni dal 18 maggio. I tre indicatori di allerta da rispettare

ROMA – Accelerare la riapertura in alcune Regioni, quelle meno colpite dal coronavirus, già a partire dal 18 maggio.

Lo ha annunciato in videoconferenza con gli enti locali, il ministro per le autonomie Francesco Boccia.

E in questa direzione va il decreto ministeriale firmato dal ministro della Salute, Roberto Speranza, che definisce i criteri relativi alle attività di monitoraggio del rischio sanitario in ciascuna Regione.

Tre saranno gli indicatori da tenere sotto controllo con l’avvio della Fase 2: capacità di monitoraggio; capacità di accertamento diagnostico, indagine e gestione dei contatti; stabilità di trasmissione e tenuta dei servizi sanitari.

“Allo stato attuale dell’epidemia – si legge nel testo – il consolidamento di una nuova fase, caratterizzata da iniziative di allentamento del lockdown e dalla loro progressiva estensione, può aver luogo solo ove sia assicurato uno stretto monitoraggio dell’andamento della trasmissione del virus sul territorio nazionale”.

Per questo “sono stati disegnati alcuni indicatori con valori di soglia e di allerta che dovranno essere monitorati, attraverso sistemi di sorveglianza coordinati a livello nazionale, al fine di ottenere dati aggregati nazionali, regionali e locali”.

Rispetto all’accertamento diagnostico, si valuteranno la percentuale di tamponi positivi escludendo per quanto possibile tutte le attività di screening e il “re-testing” degli stessi soggetti, complessivamente e per macro-setting (territoriale, PS/Ospedale, altro) per mese, il tempo tra data inizio sintomi e data di diagnosi e quello tra data inizio sintomi e data di isolamento, ma anche numero, tipologia di figure professionali e tempo/persona dedicate in ciascun servizio territoriale al contact-tracing e alle attività di prelievo/invio ai laboratori di riferimento e monitoraggio dei contatti stretti e dei casi posti rispettivamente in quarantena e isolamento.

La parte più delicata è quella della stabilità di trasmissione e la tenuta dei servizi sanitari: si valuteranno il numero di casi riportati alla Protezione civile negli ultimi 14 giorni, l’indice RT calcolato sulla base della sorveglianza integrata ISS (si utilizzeranno due indicatori, basati su data inizio sintomi e data di ospedalizzazione), il numero di casi riportati alla sorveglianza sentinella COVID-net per settimana (opzionale), ma anche il numero di accessi in Pronto Soccorso con classificazione ICD-9 compatibile con quadri sindromici riconducibili a COVID-19, e soprattutto il tasso di occupazione dei posti letto totali di Terapia Intensiva e di quelli in regime di ricovero ordinario.

La fase di transizione dell’epidemia di Covid-19, scrive il ministero, “si propone di proteggere la popolazione, con particolare attenzione per le fasce di popolazione vulnerabile, e di mantenere un numero di casi di infezione limitato e comunque entro valori che li rendano gestibili da parte dei servizi sanitari del Paese”.

“Altri presupposti sono il grado di preparedness e tenuta del sistema sanitario, per assicurare l’identificazione e gestione dei contatti, il monitoraggio dei quarantenati, una adeguata e tempestiva esecuzione dei tamponi per l’accertamento diagnostico dei casi, il raccordo tra assistenza primaria e quella in regime di ricovero, nonché la costante e tempestiva alimentazione dei flussi informativi necessari, da realizzarsi attraverso l’inserimento dei dati nei sistemi informativi routinari o realizzati ad hoc per l’emergenza in corso”.

Nel documento sono inoltre identificati valori di allerta che devono portare ad una valutazione del rischio congiuntamente nazionale e delle Regioni interessate, per decidere se le condizioni siano tali da richiedere una revisione delle misure adottate.

Valori soglia sono definiti in modo puntuale per alcuni indicatori mentre una valutazione comparativa sarà effettuata con i dati dei 7 giorni precedenti raccolti nell’ambito della sorveglianza integrata nazionale, il cui storico costituirà quindi il valore di riferimento epidemiologico.

“Una classificazione di rischio moderato/alto/molto alto porterà ad una rivalutazione e validazione congiunta con la Regione interessata che porterà a integrare le informazioni da considerare con eventuali ulteriori valutazioni svolte dalla stessa sulla base di indicatori di processo e risultato calcolati per i propri servizi”.

“Qualora si confermi un rischio alto/molto alto, ovvero un rischio moderato ma non gestibile con le misure di contenimento in atto, si procederà ad una rivalutazione delle stesse di concerto con la Regione interessata”.

Infine, “la ricerca e la gestione dei contatti, per essere condotta in modo efficace, deve prevedere un adeguato numero di risorse umane, quali operatori sanitari e di sanità pubblica, personale amministrativo e, ove possibile, altro personale già presente nell’ambito dei Servizi veterinari dei Dipartimenti di Prevenzione, da coinvolgere secondo le esigenze locali”.

Sulla base delle stime dell’ECDC, per garantire in modo ottimale questa attività essenziale dovrebbero essere messe a disposizione nelle diverse articolazioni locali non meno di 1 persona ogni 10.000 abitanti.

È necessario provvedere a un’appropriata formazione del personale e garantire, da parte dei Dipartimenti di Prevenzione e dei Distretti Sanitari, il mantenimento dei livelli di erogazione dei rimanenti ordinari servizi (ad es. screening, vaccinazioni)”. (Fonti: Agi, Ansa)

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