ISOLA DEL GIGLIO – “Solo” arresti domiciliari per il comandante della Costa Concordia Francesco Schettino. E’ la decisione del gip di Grosseto, Valeria Montesarchio, che ha anche convalidato il fermo del comandante disposto dalla procura sabato scorso. Schettino “rischia fino a 15 anni di carcere, e le accuse sono omicidio colposo plurimo, naufragio e abbandono di nave”, ha spiegato il procuratore capo di Grosseto Francesco Verusio, titolare delle indagini.
Una decisione, quella del magistrato, che fa discutere. Non è solo questione di opinione pubblica italiana o intenrazionale. A protestare, prima di tutto, è il magistrato che di Schettino ha chiesto l’arresto: “Non lo capisco il provvedimento del Gip. Sono curioso di leggere le motivazioni e domani insieme agli altri colleghi ne prenderemo atto” commenta il procuratore di Grosseto Francesco Verusio dopo che il Gip non ha convalidato il fermo del comandante Francesco Schettino e lo ha scarcerato applicando la misura degli arresti domiciliari.
“Quando leggerò il provvedimento del Gip vorrò capire perché da un lato non ha convalidato il fermo ritenendo che non ci fossero gli estremi, mentre dall’altro lato ha applicato comunque una misura cautelare, anche se è quella dei domiciliari, piu’ gradata. Domani faremo le nostre valutazioni”.
Diversa, ovviamente, l’opinione del difensore di Schettino, Bruno Leporatti, difensore del comandante Francesco Schettino, la mancata convalida del fermo e la sostituzione del carcere con quella degli arresti domiciliari, da parte del gip, e’ ”un problema di non ritenute esigenze cautelari che possono essere garantite con una misura meno afflittiva di quella carceraria, la quale in questo paese, e’ extrema ratio”.
”Non si può mandare in carcere una persona – ha aggiunto – solo perche’ cio’ lo chiede l’opinione pubblica che ti considera colpevole”.
Mentre si accende la polemica sui domiciliari al comandante la giornata di oggi ha offerto nuovi dettagli. Tutto è nelle prime e confuse comunicazioni tra la capitaneria di Porto e la nave. A terra capiscono che la situazione è critica, in mare, invece, mentono e tendono a minimizzare.
Da bordo della Costa Concordia tanti silenzi e poi ”ci hanno risposto: ‘vabbè, se lo ritenete opportuno lanciamo il distress”’, cioè la richiesta di soccorso. ”Sembrava quasi un favore che ci facevano, non un obbligo com’è previsto”. A parlare è il sottocapo di prima classe scelto Alessandro Tosi, livornese, 37 anni, in guardia costiera da 17. E’ stato lui, operatore radio in sala operativa alla Capitaneria di Livorno, il primo a parlare con nave Concordia e a condurre le conversazioni via radio con la plancia di comando nella notte tra venerdì e sabato.
”All’inizio ho sfruttato le informazioni ricevute dal carabiniere per estorcere a loro informazioni più precise perchè mi dicevano: è un black out elettrico. A quel punto ho chiesto: mi spiegate come mai a cena i piatti sono volati e parte del soffitto è caduta addosso alla gente? Da bordo tentennavano e hanno confermato che si trattava di un black out. E noi: ‘Perchè avete fatto indossare i giubbotti di salvataggio?’. Altro silenzio di qualche secondo: ‘No, le confermiamo che abbiamo solo un black out”’.
E’ Tosi il primo a percepire i toni incerti e i silenzi dalla nave Costa. ”Loro non ce l’hanno mai detto che erano in emergenza – aggiunge – Alla seconda chiamata abbiamo chiesto se avessero feriti o morti a bordo e hanno risposto negativamente. Abbiamo chiesto se avessero necessità di qualcosa e hanno risposto di avere bisogno di un rimorchiatore. Abbiamo chiesto quante persone e ci hanno risposto, 4231. Ci siamo detti che era bene dirottare sul posto tutto ciò che era possibile”.
Ma era già successo in altre occasioni di dover rivolgersi al comandante di una nave in quel modo? ”Situazioni di soccorso di questi livelli non avvengono quasi mai – risponde – normalmente il comandante è il primo che tutela il suo personale e la sua vita, giustamente. Secondo me è stata una situazione di panico totale. Anche questa mancanza di dare informazioni… Era una cosa basilare. Come abbiamo agito noi mandando il più possibile mezzi sul posto, potevano fare loro. Le operazioni a bordo sono state un po’ carenti. Potevano iniziare l’attività molto prima e molto probabilmente sarebbe stata fatta in maniera adeguata e con tutte le persone”.
Il ‘silenzio tombale’, come lo chiama, dalla radio del Concordia Tosi lo legge come una ”situazione di panico perchè sapevano di avere oltre 4 mila persone a bordo e che c’era un danno grave”. ”Penso che l’equipaggio si sia reso conto che stavano imbarcando tonnellate d’acqua e quindi siano andati nel panico più totale. Solo che c’hanno rimesso persone innocenti quando invece, se la prendevano con più calma e intelletto, probabilmente non sarebbe morto nessuno a meno che qualcuno non sia morto nell’impatto”.
E sulla manovra salva-gente? ”Senza motori in funzione non penso sia possibile. Penso piu’ che sia stata una fortuna per le persone a bordo che la nave sia andata sulla costa per lo ‘scarroccio’. Per arrivare lì è servito un colpo di fortuna o qualcuno dall’alto. Poi magari ha compiuto una manovra anche il comandante. Credo che per valutare bene ci vorrebbe un tecnico, ma penso che più che altro siano state le correnti favorevoli”.
L’uomo del giorno, invece, è senza dubbio Gregorio De Falco, il comandante che dalla capitaneria di Porto ha intimato, invano, al comandante Schettino di tornare a bordo. Voce dura e ferma, che riesce a non perdere mai il controllo davanti all’altro comandante, quello che nella tragedia della Concordia recita la parte del “vile”.