“Ho donato il cuore di mio figlio, solo per salvare la piccola Emma”

ROMA – Cesare è morto a Genova a soli 5 anni e mezzo per un’encefalite. Un bambino che però ha salvato una vita, inconsapevolmente. Il cuore del piccolo Cesare è stato infatti donato alla piccola Emma. La mamma di Cesare, Cristina Ziglioli, oggi dice: “Quando ho saputo di Emma, ho deciso di donare gli organi di mio figlio per salvarla”. Almeno lei.

Emma ha tre anni e mezzo. Ha vissuto per quasi un anno legata a un cuore artificiale in una camera di isolamento nella Cardiochirurgia dell’ospedale infantile Regina Margherita di Torino. Ha una cardiomiopatia dilatativa, patologia incurabile se non con un trapianto. La piccola Emma non sa, non può sapere della sua malattia. Ai medici chiede sempre di poter giocare all’ospedale, di poter accarezzare il suo cane Black. La piccola Emma non sa neanche che ora è salva, salva grazie al piccolo Cesare.

Una storia incredibile.

Due bambini i protagonisti ignari, due famiglie e due ospedali i personaggi che gli ruotano attorno. Una storia che la mamma di Cesare vuole far conoscere. Lo fa con una lettera commovente a La Stampa in cui racconta il piccolo Cesare ma anche la dura e sofferta decisione di donare gli organi del figlio.

Una decisione difficile. Un “no” deciso in un primo momento, finchè la madre di Cesare non è venuta a conoscenza della storia di Emma. Lì è cambiato tutto. Lì ha capito che Cesare avrebbe potuto aiutare quella bambina.

La lettera della madre comincia così: “Cesare era bello, rideva sempre”

Due grandi occhi celesti ed intensi che incantavano chiunque li incrociasse, questa era la cosa che colpiva di più di Cesare. Un bel visino con un’espressione dolce che trasmetteva tenerezza. Era un bambino buono di carattere, Cesare, un po’ capriccioso, a volte, come lo sono i bambini della sua età (cinque anni e mezzo), ma estremamente solare. «Tuo figlio ha sempre il sorriso», mi diceva spesso chi ci incontrava durante le nostre passeggiate. E poi era vivace, esuberante, sempre di corsa, pieno di gioia di vivere.Eppure ne aveva passate tante quel piccolino, era già stato male altre volte, la prima volta che era finito in rianimazione non aveva ancora sei mesi. Ma aveva combattuto come un leone e ne era uscito.

Per ben tre volte era riuscito a sconfiggere il suo nemico, una malattia tanto rara quanto sconosciuta, causata da una mutazione genetica che lo predisponeva a pericolose reazioni autoimmuni in presenza del virus anche più banale. Aveva sempre vinto le sue battaglie ed era riuscito a lasciarsi tutto alle spalle, tornando a essere un bambino felice, sereno. Questa volta no, questa volta non è riuscito a contrastare l’attacco subdolo ed incredibilmente aggressivo del suo nemico, che in pochi giorni se l’è portato via, strappandolo impietosamente ai suoi affetti più cari. Non ce l’ha fatta, Cesare, nonostante i medici abbiano tentato l’impossibile per salvare la sua piccola e preziosa vita.

Quindi la sofferta decisione sulla donazione: “No, non voglio”

I giornali hanno scritto che, quando ci hanno chiesto se eravamo disposti a donare i suoi organi, non abbiamo avuto esitazioni nel dare il consenso. Non è vero. Per me mamma è stata una decisione sofferta. All’inizio ho detto un no secco, categorico. Mi avevano appena comunicato che il mio bambino non ce l’avrebbe fatta, che sarebbe stata solo questione di tempo, forse addirittura di poche ore. Ormai l’attività elettrica del suo cervello era cessata. Difficile descrivere le emozioni che si sovrappongono nell’animo di una mamma a una notizia del genere. Disperazione, strazio e rabbia, tanta tanta rabbia. E poi il mio piccolino ne aveva già subite troppe in quei giorni, persino un intervento alla testa, una «derivazione» che doveva servire a diminuire la pressione intracranica. Anche questo si era rivelato inutile.

Non volevo che lo toccassero più il mio bambino, volevo solo che lo lasciassero stare in pace. Poi è subentrata la rassegnazione, la consapevolezza che, una volta staccato il respiratore, tutto sarebbe finito e il suo cuoricino avrebbe cessato di battere per sempre. Così, mio marito e io ne abbiamo parlato con calma e abbiamo pensato che forse quello di donare i suoi organi era l’unico modo per dare un senso alla nostra enorme tragedia, l’unico modo per non perdere Cesare totalmente e permettere che una o più parti di lui continuassero a vivere, nonostante tutto.

La storia della piccola Emma cambia tutto:

Abbiamo ripensato a un articolo che solo un paio di giorni prima avevamo letto sul giornale, mentre eravamo nella sala d’aspetto della Rianimazione. Parlava di una bimba, non ricordavamo né il nome né dove era ricoverata, ma ricordavamo perfettamente che viveva attaccata a un cuore artificiale e che aveva ancora poco tempo a disposizione. Abbiamo pensato a quanti bambini potevano essere in quel momento nella stessa situazione e a quanti genitori stavano vivendo il nostro stesso dramma. Abbiamo deciso di dire sì.

Il nostro Cesare non c’era più e non sarebbe più tornato, ma grazie a lui altri bambini altrettanto sfortunati avrebbero potuto avere almeno una possibilità. Perché negargliela? In fondo il nostro bambino nella sua breve vita ha avuto la possibilità di essere felice; è stato immensamente amato, ha potuto assaporare la gioia di correre, giocare, divertirsi, essere libero. Ora il nostro pensiero va a quei bambini che hanno ricevuto i suoi piccoli ma importantissimi doni. Ci auguriamo di cuore che grazie a Cesare possano cominciare una nuova vita, una vita che permetta loro di correre verso la felicità, proprio come faceva lui.

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