Cucchi. I due carabinieri: “Giochiamocela, vuoi Coppi…”

Cucchi. I due carabinieri: "Giochiamocela, vuoi Coppi..."
Cucchi. I due carabinieri: “Giochiamocela, vuoi Coppi…”

ROMA – Caso Stefano Cucchi. “Ragazzi dobbiamo giocarcela”: intercettati in auto, liberi di parlare, l’estate scorsa i carabinieri Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro, oggi indagati per lesioni gravissime, parlano della notte del 15 ottobre 2009, quando Stefano Cucchi fu arrestato per spaccio e, soprattutto quando parteciparono al pestaggio in caserma che – secondo l’accusa – causò infine la morte del trentunenne.

La ricostruzione di Ilaria Sacchettoni sul Corriere della Sera (a partire da carte processuali e intercettazioni ambientali che riguardano gli indagati) descrive lo stato d’animo dei militari di fronte alla prospettiva del carcere e alle mosse da compiere per evitarlo. Non mancano insulti al pm (“figlio di m.”), e nemmeno la consapevolezza che il loro miglior alleato è il tempo che passa e limita le possibilità che una verità giudiziaria colga con esattezza la realtà dei fati così come si svolsero la notte che costò la vita a Cucchi.

 

I due sono addetti ai lavori, conoscono metodi e mezzi utilizzati per le indagini. La conversazione è lucida. Non è lo sfogo drammatico liberato, al telefono con l’ex moglie, da D’Alessandro («Cosa vuoi tu da meeee?») . Qui i militari si sentono padroni di se e trattano la questione in modo professionale. «In primo grado ci danno 5 anni, l’avvocato ci dice vicino a noi…ragazzi ce la dobbiamo giocare per avere la pena sospesa» dice D’Alessandro.

Poco prima, sempre durante il viaggio, domandava con tono semischerzoso al collega: «Ti ho capito a te e giustamente ti deve prima arrivare l’avviso di garanzia…ma io comincio a vedere per Coppi…vuoi Coppi? O quell’altra come si chiamava?…scegli l’avvocato di Berlusconi o quello di Sollecito?» (Ilaria Sacchettoni, Corriere della Sera).

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