FIRENZE — La farsa attorno al David di Michelangelo con la polemica innescata dal ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini registra nuove esilaranti esibizioni, dopo quella, per dovere di scuderia di Cristina Acidini, sovrintendente al Polo museale di Firenze.
L’unica voce di buon senso, come ha riferito Simona Poli su Repubblica, è stata, a parte l’intervento di Vittorio Sgarbi, quella del critico Philippe Daverio, che insegna design all’università di Firenze:
“Disturba la Gioconda con i baffi? Certe icone della cultura appartengono a tutti e a nessuno, all’umanità in genere. Altrimenti non dovremmo permettere neppure che il Colosseo fosse trasformato in posacenere o lo stesso David venisse ridotto a bavaglino o grembiule da cucina”.
A incendiare la mente di Dario Franceschini non sono stati i 200 milioni francesi per Pompei, che i suoi predecessori si sono lasciati scappare, ma la pubblicità di una fabbrica d’armi americana, la Arma Lite, in cui un fotomontaggio fa imbracciare all’ignaro David un fucile da guerra Ar-50 A1, del tipo “bolt action”, valore tremila dollari, arma, pare, di micidiale potenza. Sotto, c’è scritto: “A work of art”, un’opera d’arte.
Nessuno si era accorto di nulla fino a quando è uscito il settimanale l’Espresso con la foto.
Fosse stato sul Giornale di Berlusconi (quello dal quale Franceschini ha detto, poi pentendosi, che mai farà educare i propri figli), chissà, ma a vederselo sull’Espresso i nervi di Franceschini non hanno retto e ha imbracciato il suo Twitter: andremo per vie legali ritirate “subito la campagna”, ha ruggito.
Il direttore della dell’Accademia di Firenze Angelo Tartuferi, citato da Simona Poli su Repubblica, non vuole essere da meno, anche se un po’ si rassegna (“Queste incursioni sono comunque inarrestabili” ma poi da perfetto burocrate mette le mani avanti:
“L’azienda americana non ci ha mai interpellati. Eppure c’è un iter preciso da seguire per chiunque voglia usare a fini commerciali l’immagine del David, così come quella di altri capolavori. È obbligatorio sottoporre alla direzione del museo un progetto e un bozzetto dell’eventuale pubblicità. Nessuno è contrario per principio all’utilizzo della statua ma ciò deve avvenire dentro canali legittimi e di buon gusto”.
Chi ha superato il muro del suono del ridicolo è stato l’assessore alla Cultura del Comune di Firenze, Sergio Givone, “filosofo esteta”, nella definizione di Simona Poli:
“Quella pubblicità rappresenta un oltraggio forte. È un atto di violenza nei confronti della scultura: come prenderla a martellate [quello può farlo solo Michelangelo] e forse, anzi, persino peggio. In questo caso viene snaturata la natura stessa del David, un’opera il cui significato è quello di rappresentare la libertà del cittadino di fronte agli abusi del potere. Quello ritratto da Michelangelo è un giovane uomo inerme, pronto a sfidare Golia con una semplice fionda: qua gli viene dato un enorme fucile. Oltre all’abuso, c’è la falsificazione. Credo che sarebbe giusto chiedere un risarcimento all’azienda americana. Magari anche una cifra astronomica: un miliardo di dollari, da impiegare, perché no, per restaurare Pompei”.
Invece di spararle così grosse, leggessero quel che racconta Mattia Feltri sulla Stampa e pensassero a usare i soldi che già ci sarebbero, senza dovere andare in tribunale, col rischio anche di perdere la causa.