Rapito, ucciso e incaprettato: il delitto di Davide Romano che terrorizza Palermo

PALERMO – Un delitto, quello di Davide Romano, che ha riportato Palermo nel terrore. Un omicidio di mafia vecchio stampo. Prima l’uomo è sparito, e per due giorni s’è parlato di “lupara bianca”, poi hanno fatto ritrovare il cadavere seminudo, con addosso solo le mutande, incaprettato e chiuso nel bagagliaio di un’auto rubata.

Delitto di mafia alla vecchia maniera quindi, con la vittima scomparsa e poi riconsegnata con mani e piedi legati col filo di ferro, come si faceva nella guerra degli anni Ottanta. Modalità eclatanti che hanno tutta l’aria di un messaggio: dopo un lungo periodo di silenzio a Palermo Cosa nostra è tornata a uccidere. Non con qualche colpo di pistola com’era successo per l’ultimo delitto di peso in città, quello del boss Nicola Ingarao, freddato nel 2007 all’uscita del commissariato dove aveva l’obbligo di firma, ma secondo i rituali più antichi ed eloquenti.

Davide Romano aveva 34 anni, aveva scontato una condanna per mafia e droga, a fine febbraio era uscito di galera. Ma è soprattutto la vicenda del padre a inserire il cognome Romano nelle vicende di mafia. Nel 1995 Giovan Battista Romano, boss del Borgo a sua volta coinvolto nei traffici di droga, fu preso, strangolato e sciolto nell’acido. A decidere e commettere l’omicidio, secondo i pentiti e le sentenze, furono tra gli altri nomi importanti dell’onorata società: da Leoluca Bagarella, cognato di Totò Riina, a Vittorio Mangano, lo “stalliere” assunto da Silvio Berlusconi nella villa di Arcore negli anni Settanta. La vittima era accusata di essere stato un confidente di Giovanni Falcone.

Come riporta Giovanni Bianconi per Il Corriere della Sera, la modalità dell’esecuzione e del ritrovamento, un proiettile 7,65 alla nuca e l’incaprettamento, fanno pensare al rituale mafioso, forse legato a qualche dinamica interna violata. “La lettura più logica è l’inasprirsi della conflittualità fra le due famiglie che erano e sono quelle forti di Cosa nostra a Palermo – ha spiegato il procuratore aggiunto di Palermo Ignazio De Francisci -. È ipotizzabile un braccio di ferro cruento per contendersi la leadership interna all’organizzazione”.

Due giorni dopo la scoperta del cadavere di Romano, al Borgo Nuovo è stato ucciso Claudio De Simone, quasi certamente per motivi di droga. Un omicidio avvenuto in strada, tre colpi di pistola e via. Così si regolano quel tipo di conti, mentre a Davide Romano è stata riservata un’altra sorte, ben più espressiva.

È allora possibile – nonostante tra gli stessi inquirenti ci sia chi ne dubita – che nel suo ultimo mese di libertà e di vita la vittima abbia fatto qualche mossa che ha disturbato i nuovi assetti della famiglia mafiosa del Borgo, mandamento di Porta nuova.

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