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Davide Stival racconta il giorno del funerale di Loris: “Mio figlio in quella bara…”

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Davide Stival insieme alla ex moglie Veronica Panarello (foto Ansa)

ROMA – “Quel giorno in obitorio l’ho baciato, piangendo. Era freddo. Gli occhi erano chiusi, il viso aveva un’espressione quasi serena. Non so se gliel’avessero fatta quelli delle onoranze funebri. L’ho guardato e visto così, prima che chiudessero la bara, con il rumore della saldatura [App di Blitzquotidiano, gratis, clicca qui,- Ladyblitz clicca qui –Cronaca Oggi, App on Google Play] che mi entrava nelle orecchie, l’aria che mi mancava, la vista che si annebbiava. Lui che se ne andava”. E’ il drammatico racconto fatto da Davide Stival a Simone Toscano di “Quarto Grado”, autore del libro “Nel nome di Lorys“. L’uomo, proprio nel giorno della sentenza di secondo grado che ha condannato a 30 anni di reclusione Veronica Panarello, ricorda lo straziante funerale del figlio Loris, trovato morto il 29 novembre 2014 a Santa Croce Camerina.

Il libro contiene una lunga intervista a Davide Stival, oltre ad un contributo dell’avvocato Daniele Scrofani e a una sezione dedicata ai documenti originali dell’inchiesta. “Sai cosa vuol dire comprare i vestiti per tuo figlio di otto anni, morto? – dice il padre di Loris – E dovergli comprare un foulard, per coprire il collo e i segni dello strangolamento? E un cappellino, per­ché gli avevano fatto l’autopsia e avevano dovuto ‘operare’ sulla sua testa?”.

“Sto male solo a pensarlo di nuovo – continua – per fortuna ho avuto vicino mia madre e mio padre, senza di loro in quel momento non avrei potuto farcela. E poi aveva iniziato a essermi ac­canto il mio nuovo avvocato, Daniele Scrofani, che è diven­tato fin da subito un punto di riferimento”. Davide Stival ricorda poi l’ultimo saluto al figlio: “Prima che la calassero giù, abbiamo poggiato sulla bara il chimono regalato dalla maestra. E l’abbiamo visto andare via, così: mio figlio, in una bara bianca, ricoperta da metri e metri di terra”.

“Ora capisco – conclude – cosa vuol dire ‘che la terra ti sia lieve’, perché pensarlo sotto la terra pesante fa male, è un’immagine che non ti fa dormire. Speri sia lieve, leggera, che non gli provochi ‘dolore’. E’ incomprensibile forse, per chi non lo ha vissuto, ma in quei momenti pensi solo a lui, al suo bene”.

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