MILANO – La Corte di Cassazione ha annullato l’ordinanza con cui il gup di Milano, lo scorso aprile, aveva prosciolto dalle accuse gli stilisti Domenico Dolce e Stefano Gabbana, imputati per dichiarazione infedele dei redditi e concorso in truffa riguardo ad una presunta evasione fiscale su un imponibile da circa un miliardo di euro.
Dunque la Suprema Corte ha annullato l’assoluzione, rinviando gli atti al gup di Milano per una nuova decisione. Sull’assoluzione aveva fatto ricorso il pm di Milano Laura Pedio.
Lo scorso primo aprile, il gup di Milano Simone Luerti aveva assolto Dolce e Gabbana e altri cinque imputati, tra cui alcuni manager del gruppo di moda, dalle accuse ”perche’ il fatto non sussiste”. Secondo il pm, gli stilisti avrebbero creato una societa’ in Lussemburgo per non pagare le tasse in Italia sullo sfruttamento dei loro marchi ‘D&G’.
”L’intera operazione si e’ realizzata alla luce del sole”, aveva scritto pero’ il gup nelle motivazioni del proscioglimento. Secondo il giudice, poi, ”le condotte contestate integrano palesemente una delle molteplici forme che assume l’elusione fiscale”. Il gup pero’ in sostanza ha ritenuto che cio’ che e’ stato documentato nell’indagine non ha travalicato il confine del rilievo penale, perche’ l’elusione fiscale si distingue ”dall’evasione fiscale perche’ non si pone in diretta violazione di un precetto normativo”.
A maggio il pm ha fatto ricorso in Cassazione e ora, dopo l’annullamento della sentenza da parte della Suprema Corte, un nuovo gup dovra’ esprimersi sulla vicenda. L’inchiesta penale era nata nel 2007, a seguito di una verifica fiscale, e il pm Pedio contestava ai due creatori di moda di aver costituito nel 2004, assieme agli altri manager,una societa’ fittizia, la Gado, alla quale sarebbero stati ceduti due marchi per 360 milioni di euro, quando il prezzo di mercato stimato era di quasi 1,2 miliardi. Gli ”effettivi titolari dei marchi”, secondo l’accusa, sarebbero stati Dolce e Gabbana, i quali avrebbero percepito le ”royalities” attraverso lo ‘schermo’ di altre due societa’, pagando poi una ”aliquota d’imposta del 4%” in Lussemburgo, invece che le tasse in Italia. Il pm contestava un’evasione da 420 milioni di euro a testa per gli stilisti e una da circa 200 milioni per la societa’, tra il 2004 e il 2005.