Dottorato qui, poi meglio espatriare: cervelli in fuga guadagnano 10mila€ in più

Dottorato qui, poi meglio espatriare: cervelli in fuga guadagnano 10mila€ in più
Dottorato qui, poi meglio espatriare: cervelli in fuga guadagnano 10mila€ in più

ROMA – Dopo il dottorato, meglio espatriare: i cervelli in fuga guadagnano fino a 10 mila euro in più rispetto a chi resta in Italia. Nemo propheta in patria, una vecchia maledizione che l’Isfol, Istituto per la formazione professionale dei lavoratori, ha misurato su un campione di 5 mila dottori di ricerca.

A sei anni dalla tesi di Phd, i dottori di ricerca che hanno trovato lavoro all’estero guadagnano quasi 8.500 euro in più rispetto ai colleghi rimasti in Italia. Se il confronto si estende a chi non ha mai cambiato regione di studi o di residenza, la differenza si allarga fino ai 10mila: 9.842 euro.

Questa l’impietosa fotografia scattata dall’indagine sulla mobilità geografica dei dottori di ricerca diffusa dall’Isfol. L ’ente pubblico dal 1973 analizza il mondo del lavoro italiano dalle tre prospettive della formazione, dell’impiego e dell’inclusione sociale.

I cervelli italiani cercano comunque di restare in patria, i migranti all’estero (mobili) sono ancora una minoranza: il 7,5% nel 2012, quasi la metà rispetto ai mobili in Italia (regione diversa da quella di origine: il 12,2%) e circa undici volte in meno dei  (stessa regione di origine e/o di studi: l’80,5%). In compenso, le percentuali sono quasi identiche sul tasso di occupazione: il 91,9% di quelli rimasti a casa trova un impiego, contro il 94,9% dei dottori trasferitisi in un’altra regione o il 95,4% degli emigrati all’estero. Solo che questi ultimi possono aspirare a ben altra classe di reddito e vedere premiata l’eccellenza del proprio cursus honorum. I dottori di ricerca che hanno portato il proprio cervello e il proprio futuro all’estero guadagnano 29.022 euro all’anno, contro gli appena ventimila di chi ha solo cambiato regione (20.524 euro) o neppure ventimila di chi non si è mai spostato  (19.180 euro).

Sessismo e precariato restano le piaghe più penalizzanti. Anche tra i più istruiti le donne guadagnano un quinto in meno dei loro colleghi maschi. E chi ha un contratto a tempo indeterminato ha uno stipendio di oltre un quinto superiore a chi lavora a termine.

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