Emanuela Orlandi, si cercano tracce di saliva sul flauto

ROMA –  Emanuela Orlandi, con il ritrovamento di un flauto traverso che potrebbe essere il suo il mistero si infittisce. Gli inquirenti sottoporranno lo strumento agli esami alla ricerca di tracce di saliva o di impronte digitali. Ma i fratelli di Emanuela, Natalina e Pietro, si dicono certi “al 90%” che si tratti del flauto di Emanuela.

Ecco la vicenda delle ultime novità raccontata da Fabrizio Peronaci sul Corriere della Sera:

 Nel giallo infinito sul sequestro di Emanuela Orlandi spunta un flauto traverso: è lo strumento che la figlia del messo pontificio di Giovanni Paolo II infilò nello zainetto prima di uscire di casa quel pomeriggio del 22 giugno 1983 per andare a lezione di musica nel complesso di Sant’Apollinare. Fu l’ultima volta che i familiari la videro: chiuse la porta e svanì nel nulla. La custodia era nera e consumata agli angoli, la fodera interna rossa.

È un oggetto-chiave, mai ritrovato, nel mistero sulla «ragazza con la fascetta». E oggi è un flauto molto simile, risalente a quegli anni e prodotto dalla ditta «Rampone e Cazzani» di Milano, che un testimone tenuto per ora segreto ha fatto ritrovare.

La segnalazione è arrivata alla trasmissione Chi l’ha visto? due giorni fa. La Procura, ieri mattina, ha acquisito il «reperto» (senza precisare dove è stato rinvenuto) e ha disposto una consulenza tecnica per la ricerca di eventuali impronte o tracce di saliva, in modo da poterle comparare con il dna della quindicenne. Ad avvolgerlo era un foglio di giornale del 29 maggio 1985, con un’intervista a Ercole Orlandi, il papà, che si appellava all’attentatore di Karol Wojtyla, il turco Alì Agca, perché dicesse ciò che sapeva. L’involucro va letto come una sorta di messaggio per indurre chi l’avesse trovato a collegarlo a Emanuela? Probabile.

Di certo, per ora, c’è che sia Natalina Orlandi, la sorella maggiore, sia Pietro, il fratello, dopo aver visionato con attenzione il flauto traverso si sono detti quasi convinti che sia quello appartenuto a Emanuela. «Al 90% direi di sì anche se, certo, bisogna aspettare le analisi tecniche. Osservandolo con attenzione – racconta Pietro Orlandi – la sensazione è stata questa: il modello coincide, le dimensioni anche, il colore della stoffa interna pure. D’altronde – aggiunge – mi sembra difficile che l’autore di una messinscena o di uno scherzo tanto insensato e macabro sia riuscito a procurarsi uno strumento costruito nei primi anni Ottanta, con la custodia uguale a quella che ricordo, e persino una copia di giornale dell’epoca».

Ma c’è anche una traccia in più, un dettaglio che apre scenari inediti. Il flauto, ha spiegato il giornalista Fiore De Rienzo contattato dal misterioso testimone, si trovava sotto una formella raffigurante una stazione della Via Crucis, in un cunicolo o anfratto che quindi potrebbe avere a che fare con luoghi sacri. Cosa c’entra la Settimana Santa? È anche questo un segnale, un messaggio in codice?

Ebbene, se si analizzano le rivendicazioni dell’estate 1983 emergono due fatti che, riletti oggi, porterebbero a rispondere di sì. Il primo è la telefonata all’Ansa del 4 settembre in cui il cosiddetto «Amerikano», l’uomo che chiamava a casa Orlandi e fornì prova di essere almeno in contatto con Emanuela (facendo ritrovare la tessera della scuola di musica e uno spartito), disse testualmente: «Nelle vicinanze della basilica di Santa Francesca Romana il pontefice celebra la Via Crucis». Particolare vero, tanto che i cronisti parlarono di un «messaggio criptato» diretto a personalità interne al Vaticano: in quegli anni il rito pasquale si concludeva proprio nella chiesa ai Fori, di fronte al Colosseo.

Ma non basta: l’altro elemento che stabilisce una connessione con la formella è che l’ultimatum posto dai sequestratori, con cui l’«Amerikano» chiedeva la scarcerazione di Agca entro il 20 luglio ’83 in cambio della liberazione di Emanuela, di nuovo a Santa Francesca Romana faceva riferimento. La telefonata del 19 luglio, nell’immediata scadenza, non arrivò né alla famiglia né ai giornali, ma al centralino della basilica. E a rispondere fu un sacerdote. Un’anomalia mai spiegata che, comunque, fu presa sul serio: gli investigatori nei giorni seguenti perlustrarono l’area attorno alla chiesa, armati anche di pale, in cerca del corpo, e il padre fu convocato in caserma in attesa della «brutta notizia».

Un flauto, una formella della Via Crucis e gli inquietanti messaggi dell’«Amerikano», che il Sisde descrisse come «persona colta, raffinata, probabilmente legata ad ambienti ecclesiastici»: il giallo Orlandi, 10.879 giorni dopo quel maledetto 22 giugno, riparte dunque da qui.

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