ROMA – Emanuela Orlandi, “giallo a una svolta” scrive Fabrizio Peronaci ancora una volta. La difesa ha chiesto di ascoltare due arcivescovi, Pierluigi Celata, attuale vicecamerlengo e stretto collaboratore del Segretario di Stato Casaroli negli anni Ottanta, e il lituano Audrys Backis, all’epoca sottosegretario del Consiglio per gli affari pubblici della Chiesa, oggi rientrato a Vilnius.
Qual è la teoria della difesa? Scrive Peronaci:
L’intrigo è complesso. Il nome di battesimo di monsignor Celata, ha detto il teste, lo si ritrova «in codice» nei giorni successivi alla scomparsa di Emanuela. «Il primo a telefonare per rivendicare l’azione fu un certo Pierluigi: scegliemmo tale nome proprio per mandare un messaggio alla controparte». E non basta. Alla testimonianza dei due prelati potrebbe aggiungersi, se la Procura darà il via libera alle richieste di rogatoria, quella di Musa Serdar Celebi, capo dei turchi rifugiati in Germania, assolto nel processo-ter sul ferimento di Wojtyla. E’ stato lo stesso fotografo a parlare di contatti tra il suo gruppo e i complici dell’attentatore. «Fui io a prenotare due alberghi a nome del signor Agca per i sopralluoghi – ha confessato Fassoni Accetti – nonché ad offrire la logistica per l’attentato al signor Celebi, che una volta ospitai presso la mia abitazione».
La «pista interna» – all’indomani della presenza di una quarantina di aderenti al gruppo Fb dedicato a Emanuela, ieri mattina all’udienza di papa Francesco – torna così d’attualità. Nel 1993-94 le rogatorie furono tre, ma infruttuose: la Santa Sede si limitò a rispondere per iscritto e consegnò materiale audio (le telefonate dell’«Amerikano», che ora si ipotizza fosse proprio Fassoni Accetti) incompleto e scadente. Oggi ci si riprova. Confidando nel pontefice «venuto quasi dalla fine del mondo», paladino della verità. Francesco, ieri, con uno scatto dalla Papamobile, ha preso al volo la maglietta con il volto di Emanuela che gli era stata lanciata dalla folla. Un gesto che tanti hanno considerato di buon auspicio.
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