ROMA -“Emanuela Orlandi la chiamavamo Fatima, Mirella Gregori invece Rosi”. Marco Fassoni Accetti, il fotografo si è autoaccusato di aver partecipato al rapimento di Emanuela e Mirella, lo ha rivelato durante l’undicesimo interrogatorio svolto il 1° luglio. I magistrati Giancarlo Capaldo e Simona Maisto hanno ascoltato Accetti, che ha spiegato come Emanuela fu chiamata Fatima, “come il terzo segreto”.
Le indagini della Procura di Roma proseguono, scrive Fabrizio Peronaci sul Corriere della Sera, seguendo due strade:
“Da un lato le perizie foniche, per appurare se la voce di Accetti corrisponde a quella dell’«Amerikano», il principale telefonista dell’estate 1983; dall’altro la ricerca di altri testimoni. L’operazione non sarà semplice: Accetti ha parlato di un «nucleo di controspionaggio» formato da laici ed ecclesiastici, col supporto di fiancheggiatori della Stasi, incaricato negli anni ’80 di «lavori sporchi» all’ombra del Vaticano. Due di queste «azioni» sarebbero state i sequestri di Emanuela e Mirella, attuati con l’inganno e la complicità involontaria di almeno 5 amiche”.
Secondo Accetti, il sequestro doveva servire a far ritirare ad Agca le accuse ai bulgari per l’attentato a Wojtyla ed esercitare ricatti anche agli ambienti vicini al Papa, passando dallo Ior e dalla Gerdarmeria, scrive Peronaci. Ma la versione di Accetti non convince: troppo alias che evocano altro e il timore è che il testimone che si è autoaccusato dei rapimenti possa essere un mitomane. Peronaci riporta le dichiarazioni di Accetti:
“Emanuela, che «fu a Roma per tutto l’83 e poi portata in Francia», secondo il teste era stata ribattezzata Fatima (con tanto di passaporti indiano e iraniano), per richiamare il terzo segreto, di cui vaneggiò anche Agca. Mirella, invece, Rosi: da Rossitza Antonov, moglie del caposcalo della Balkan Air arrestato per l’attentato. Alla Gregori, inoltre, sarebbe stato intimato di dire che al citofono il giorno in cui sparì la chiamò l’amico Alessandro, per «ricordare» a chi di dovere il capo dello Sdece, servizi segreti francesi, marchese Alexander De Marenches”.
Poi Accetti continua a raccontare, scrive Peronaci:
“E ancora: «Pierluigi», autore delle prime telefonate, «alludeva» a un tal monsignore, acerrimo nemico di Marcinkus; «Barbarella», come fu anche chiamata la Orlandi, doveva servire «a localizzare la ragazza» in zona Campo de’ Fiori, vicino la chiesa di Santa Barbara; e infine la basilica di Santa Francesca Romana, dove l’«Amerikano» telefonò una volta, altro non sarebbe stato che un riferimento al doppio nome della nipote di Ilario Martella, giudice istruttore su Agca e accusatore dei bulgari, per questo minacciato”.
E se lo scenario sembra troppo “fantasmagorico” per convincere la Procura, scrive Peronaci, Accetti replica:
“Ma di che vi stupite? – replica Accetti – Leggere questi fatti con gli occhi di oggi è vano. Vero è che all’epoca, in piena guerra fredda, operazioni del genere avvenivano così: tramite codici, coperture, raffinatissime dissimulazioni»”.
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