ROMA – Potrebbero appartenere a due persone differenti le ossa ritrovate in un edificio adiacente al Palazzo della Nunziatura vaticana in via Po, a due passi dalla sede della Figc in via Allegri, a Roma. Infatti, durante i lavori di rifacimento del pavimento, gli operai avrebbero ritrovato uno scheletro quasi intero e, in un altro punto, altri frammenti di ossa.
Se si riuscirà ad estrarre il Dna dai resti trovati basteranno 7-10 giorni per capire se sono effettivamente quelli di Emanuela Orlandi. Lo afferma Giovanni Arcudi, direttore della Medicina Legale dell’università Tor Vergata di Roma, secondo cui altrimenti gli esami potrebbero richiedere tempi più lunghi.
“L’estrazione del Dna e le analisi conseguenti, come il confronto con quello della persona a cui si sospetta appartengano i resti o i familiari, non richiedono molto tempo, si possono fare in 7-10 giorni – spiega l’esperto -. Non sempre però si riesce a ricavare del materiale genetico utilizzabile, dipende sempre da come sono conservati i resti, e anche da che tipo di ossa abbiamo. Dai denti ad esempio si ricava bene, e anche dalle vertebre, ma ad esempio la conservazione in luogo asciutto o umido ha una grande influenza sulla possibilità di estrarre un Dna ‘pulito'”.
In assenza del Dna, spiega Arcudi, si ricorre agli esami sulle ossa. “Questi richiedono più tempo, ogni singolo frammento viene valutato e misurato. Potenzialmente anche da questi esami si può sapere molto, dall’età alla statura al sesso, oltre alla presenza di lesioni ossee che possono essere confrontate con quelle della persona sospettata. Dalla degradazione dell’osso si può anche stimare da quanto tempo i resti si trovavano nel luogo del ritrovamento, con una approssimazione di almeno 10-20 anni”.