ROMA – E’ noto soprattutto per essere il prete che, da rettore della basilica di Sant’Apollinare, si attivò per far avere all’ex boss della Magliana Enrico De Pedis l’inusuale sepoltura nella cripta della chiesa al centro di Roma, riaperta proprio in questi giorni.
Mons. Piero Vergari, originario di Sigillo (Perugia), 76 anni il prossimo 27 settembre, ora indagato per concorso in sequestro di persona nell’inchiesta sulla scomparsa di Emanuela Orlandi, non ha mai nascosto la sua amicizia con ‘Renatino’.
Dopo aver prestato servizio nella diocesi di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino, dove è stato anche canonico della concattedrale dell’Assunzione di Maria a Nocera, don Vergari ha svolto la sua missione sacerdotale per molti anni a Roma, dove è diventato rettore di Sant’Apollinare mantenendo l’incarico fino al 1991.
E’ lui stesso a raccontare sul suo sito web che fu in occasione delle visite settimanali del sabato ai detenuti di Regina Coeli, condotte per quasi 25 anni, che venne in contatto con De Pedis: contatto, diventato poi amicizia vera e propria dopo l’uscita di ‘Renatino’ dal carcere. Si vedevano ”normalmente nella chiesa di cui ero rettore, sapendo i miei orari e altre volte fuori, per caso. Mai ho veduto o saputo nulla dei suoi rapporti con gli altri, tranne la conoscenza dei suoi familiari – racconta don Piero – Aveva il passaporto per poter andare liberamente all’estero. Mi ha aiutato molto per preparare le mense che organizzavo per i poveri. Quando seppi dalla televisione della sua morte in Via del Pellegrino, ne restai meravigliato e dispiacente”.
Il rapporto tra i due si era fatto solido e profondo, suggellato anche dalle generose donazioni dello stesso De Pedis, continuate grazie alla famiglia anche dopo la morte del boss, freddato in un regolamenti di conti il 2 febbraio 1990. Negli anni scorsi si era parlato di una somma di 500 milioni corrisposta come generosa offerta da Carla Di Giovanni, la vedova.
Ma fonti ben informate, vicine al Vaticano, hanno parlato recentemente di ”un miliardo di vecchie lire”. Fu così che si giunse alla sepoltura nel sotterraneo di Sant’Apollinare, visti i timori della famiglia di profanazioni e atti di sfregio alla tomba.
Fu il 24 aprile 1990, a neanche tre mesi dall’omicidio di Renatino (dopo che Vergari in una lettera aveva attestato il suo status di ”grande benefattore” e dopo l’autorizzazione concessa dal cardinale vicario Ugo Poletti), il corpo fu traslato dal Verano nella cripta della chiesa. In parte il denaro andò alle missioni, in parte fu utilizzato anche per il restauro della basilica.
E mentre si avvicinava l’ora dell’ispezione della tomba nell’ambito delle indagini sul sequestro Orlandi, mons. Vergari continuava a difendere la memoria dell’ex boss. ”Dei morti – sottolineava raggiunto al telefono dall’Ansa nel suo ‘buen retiro’ in Sabina dove si sussurra sia stato confinato proprio in seguito alla vicenda – non si deve dire altro che bene”.