ROMA – La verità su Emanuela Orlandi è vicina. E stavolta a dirlo sono proprio i magistrati che indagano sulla scomparsa della 15enne, cittadina vaticana, avvenuta il 22 giugno di 30 anni fa. “La verità sulla fine di Emanuela – ha detto il procuratore Giancarlo Capaldo – non si è trovata per molto tempo perché troppi temevano che dietro questa storia si nascondesse una verità scomoda. Emanuela Orlandi è morta, ma il caso della sua scomparsa potrebbe risolversi. Finora ci sono state molte false piste e molti depistaggi”. A dare una spinta alle indagini è stato Marco Fassoni Accetti, l’uomo che a marzo si è presentato agli inquirenti dicendo di essere uno dei sequestratori della Orlandi. L’uomo è stato indagato per sequestro di persona aggravato dalla morte dell’ostaggio e ha raccontato la sua versione dei fatti, come ricostruisce il Corriere della Sera:
Il sequestro di Emanuela Orlandi (come anche quello di Mirella Gregori, sparita nel maggio 1983) secondo Fassoni Accetti avrebbe avuto l’obiettivo di indurre Alì Agca a ritrattare le sue accuse di complicità ai bulgari nell’attentato al Papa del maggio 1981, in cambio di una sua futura liberazione (il terrorista turco ricevette la grazia dal presidente della Repubblica nel 2000). L’indagato, che più vo lte ha lanciato appelli perché i suoi complici dell’epoca escano allo scoperto, ha precisato che l’operazione nacque come «rapimento simulato», poi però sfuggito al controllo degli stessi sequestratori: la «ragazza con la fascetta», prelevata con l’inganno grazie al coinvolgimento di tre sue coetanee nel centro di Roma, sarebbe dovuta tornare a casa in pochi giorni, ma l’esplosione mediatica seguita all’appello del 3 luglio 1983 di papa Wojtyla dalla finestra dell’Angelus avrebbe trasformato un’ «azione dimostrativa» in uno dei gialli più inquietanti e torbidi del dopoguerra.
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