FROSINONE – Emanuele Morganti è stato ucciso da un colpo di manganello sferrato con violenza alla testa, mentre il giovane di appena 20 anni era già a terra esanime. Picchiato dal branco, in troppi contro uno solo, per futili motivi. Ma intanto l’arma del delitto ancora non si trova e anche se sono due gli arrestati per la morte di Emanuele, Mario Castagnacci e Paolo Palmisani, potrebbe esserci un terzo killer ancora da individuare nelle indagini.
Clemente Pistilli sul quotidiano Repubblica spiega che i risultati dell’autopsia hanno ricostruito il momento del massacro di Emanuele Morganti e mentre il 1° aprile si celebrano i funerali, con una sfilata di palloncini bianchi e gli amici a sorreggerne la bara, ecco che gli inquirenti continuano a cercare i suoi assassini. La caccia è aperta al terzo killer che ha brutalmente picchiato il povero ragazzo di Alatri, così come proseguono le ricerche dell’arma del delitto che ha sferrato il colpo letale, quello che ha causato l’emorragia cerebrale che l’ha ucciso dopo due giorni di agonia:
“I sospetti si erano così andando addensando sul manganello con la scritta “Boia chi molla” sequestrato nell’auto di uno dei buttafuori indagati, Damiano Bruni. Ma anche tale ipotesi è debole, visto che le lesioni che stanno studiando i consulenti medico-legali sarebbero compatibili con un manganello, sembra di quelli estensibili, ma più lungo e largo di quello sequestrato a Bruni. Lesioni che in gergo vengono definite “a stampo”.
Proprio Bruni, rompendo alla fine il silenzio, giura poi di non aver utilizzato quell’arma. “Non sono mai uscito dal locale quella sera, ero lì per appena 40 euro e non era neppure responsabile della vigilanza – assicura il 26enne, una vita spesa ad allevare cani ed appassionato cinofilo – non sono io ad aver colpito quel ragazzo. Chi sa parli. Sono dentro una storia e accusato di fatti gravissimi senza aver fatto niente”. E il manganello? “Era nell’auto, mai usato, l’ho detto ai carabinieri, a cui l’ho consegnato subito mostrando loro che era pulito e integro. Vicino alla mia auto c’è anche una telecamera”.
Parole le sue, cui si aggiungono quelle del difensore dell’indagato, l’avvocato Giampiero Vellucci. “Assicuro io – afferma l’avvocato Vellucci – che i miei assistiti, Bruni e Michael Ciotoli, non hanno partecipato ad alcuna rissa e soprattutto non hanno utilizzato alcun manganello. Non è il manganello con l’ormai famosa scritta Boia chi molla ad aver provocato lesioni alla vittima e i Ris lo appureranno”.
Con ogni probabilità, dunque, Emanuele Morganti è stato ucciso con un’arma, un altro manganello sembra, di cui non c’è ancora alcuna traccia, colpito da un soggetto al momento sconosciuto, che potrebbe essere sia uno dei buttafuori, essendo stato visto da un testimone un addetto alla vigilanza che impugnava un manganello, senza però identificarlo, che uno dei tanti che hanno preso parte al pestaggio. Un problema notevolissimo per le indagini. E diventano così determinanti nuove testimonianze”.