Esercito, mobilità forzata per 18mila militari e 10mila civili

di Redazione Blitz
Pubblicato il 25 Agosto 2013 - 09:04 OLTRE 6 MESI FA

Esercito, mobilità forzata per 18mila militari e 10mila civiliROMA – Scelta tra mobilità forzata e pensione obbligata per 18 mila militari. Più altri 10 mila civili. Fanno 28 mila in tutto. Un’operazione di tagli al personale che, come riporta Il Messaggero, non ha precedenti nella pubblica amministrazione italiana. Per gli esuberi del ministero della Difesa si prevede quindi la mobilità forzata: i prescelti dovranno accettare il trasferimento in un ministero o in un ente pubblico. L’unica alternativa possibile per chi rifiuta lo spostamento è il pensionamento anticipato obbligatorio, con lo stipendio all’85%.

Questo il decreto legislativo che il Consiglio dei ministri ha già esaminato in prima lettura e che si pensa di trasmettere alle commissioni parlamentari in settembre. È la riforma iniziata dal governo Monti per costruire, nell’arco di dieci anni, il cosiddetto “nuovo modello di Difesa”.

Pietro Piovani per Il Messaggero scrive:

L’obiettivo è quello di rendere le nostre forze armate più moderne, e per arrivarci bisogna riequilibrare la distribuzione delle risorse tra spese per il personale e spese per investimenti. Oggi gli stipendi rappresentano il 70% dei costi, mentre per il resto (leggi: per gli acquisti di armamenti) non resta che il 30%. Entro il 2024 si deve arrivare a un rapporto del 50% a 50%. Solo così l’Italia potrà permettersi forze armate bene attrezzate e tecnologicamente aggiornate, perché la situazione della finanza pubblica è quella che è e la spesa militare complessiva non può essere incrementata, dunque la Difesa deve trovare le risorse all’interno del suo bilancio, risparmiando dove si può. Cioè sul personale. Così richiede la “Riforma dello strumento militare” proposta dall’ammiraglio Di Paola quando era a capo del ministero e confermata poi dal suo successore Mario Mauro nel decreto legislativo in via di emanazione.

Il piano indica 18 mila esuberi tra i militari e 10 mila tra i civili, 28 mila in tutto. Per individuare chi deve andare via saranno elaborate delle graduatorie. Si attingerà prevalentemente dalla fascia dei sottufficiali di età compresa tra i 45 e i 55 anni, che ormai non sono più utilizzabili per missioni operative mentre potrebbero essere più produttivi negli uffici di altre amministrazioni. Per esempio al ministero della Giustizia, come ha suggerito in passato il ministro Mauro. Per fare spazio agli esuberi della Difesa si impone alle altre amministrazioni di riservare loro una parte dei loro posti: nei ministeri, negli enti del parastato, negli enti locali dovrà essere lasciata a disposizione dei fuoriusciti una quota pari al 20% delle assunzioni annuali.

Ma per chi non è disposto ad accettare il nuovo incarico può contare sull’opzione alternativa del pensionamento. L’offerta è abbastanza vantaggiosa: si va a riposo con un assegno che, sommando tutte le voci, vale circa l’85% dello stipendio attuale, oltretutto con la possibilità di integrare le entrate con i guadagni di eventuali lavori extra (cosa non consentita invece ai militari che oggi scelgono volontariamente l’istituto dell’ausiliaria). La cosa riguarda però soltanto i militari. Per i civili la scelta di andare in pensione anticipata non c’è e se ci si rifiuta scatta l’istituto della “messa in disponibilità”, praticamente la cassa integrazione dei dipendenti pubblici.

Si domanda il maresciallo Antonio Ciavarelli: “Che vuol dire mobilità per un militare? Le Forze armate hanno una loro specifica identità. Non vorremmo ritrovarci ad assistere al fenomeno di qualche maresciallo o capitano o colonnello che si tramuti in un bidello o in un usciere, senza voler nulla togliere ai bidelli e agli uscieri. E che se poi rinunciasse a farlo, fosse spedito in pre-pensionamento senza tanti complimenti”.