AGRIGENTO – Una trentina di palme, acquistate con soldi pubblici per ripopolare l’Orto botanico e poi fatte piantare nella villa del politico. Succede ad Agrigento dove l’ex presidente della provincia, Eugenio D’Orsi, è finito a processo perché accusato di truffa, peculato, concussione e falso: la procura ha chiesto una condanna a sei anni di carcere oltre all‘interdizione perpetua dai pubblici uffici. Memorabile, scrive Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera, è stata la difesa dell’imputato: “Non è che fossero palme grandi, erano proprio picciridde…”
L’inchiesta riguardante l’affidamento di diversi incarichi di progettazione da parte dell’Ente, all’epoca dei fatti guidato da D’Orsi, è stata coordinata dal procuratore Ignazio Fonzo e dal pm Carlo Cinque.
Nella requisitoria, citata da Stella, gli inquirenti restituiscono un ritratto dell’ex esponente di MpA, arrivando a scomodare nientemeno che la teoria sociologica del familismo amorale di Edward C. Banfield:
“secondo cui, in alcune zone del meridione, la condotta dell’individuo sarebbe dettata dall’unica seguente regola: ‘Massimizzare unicamente i vantaggi materiali di breve termine della propria famiglia nucleare, supponendo che tutti gli altri si comportino allo stesso modo’. L’imputato ha mostrato di perseguire soltanto il proprio interesse e quello della propria famiglia e mai quello della comunità; non ha ciò che si definisce ethos comunitario perché agisce sempre secondo la logica del guadagno personale a discapito della comunità amministrata né persegue l’interesse pubblico a meno che tale interesse non coincida in tutto o in parte con il proprio”.
Secondo l’accusa, scrive Stella, D’Orsi avrebbe
“ottenuto vantaggi personali avvalendosi di soggetti compiacenti che elargiscono favori consapevoli del fatto che il favore concesso sarà prima o poi restituito”.
I pm parlano di appalti, assunzioni di elettori, prospettive di carriera e “funzionari della Provincia compiacenti”, che controllando i rimborsi delle spese di rappresentanza, avrebbero assecondato “ogni richiesta del loro dominus”.
Episodio paradigmatico sarebbe in tal senso l’acquisto delle palme, di tipo “whashingtonia“, acquistate per il Giardino Botanico e poi fatte piantare nella villa dell’imputato a Montaperto. A occuparsi della faccenda sarebbe stato lo stesso responsabile dell’Orto botanico, Giovanni Alletto. Per giunta nell’orario in cui figurava al lavoro.
I commenti sono chiusi.