Fabrizio Corona, la Cassazione: “Agì in malafede. Va rieducato e represso”

Fabrizio Corona, la Cassazione: "Agì in malafede. Va rieducato e represso"
Fabrizio Corona (Foto Lapresse)

ROMA – Fallimento dell’agenzia Corona’s, Fabrizio Corona “agì in malafede”, spostando fondi e personale in una nuova società “allo scopo di eludere i creditori”: lo sostiene la Corte di Cassazione, che il 31 maggio ha depositato le motivazioni della sentenza che ha reso definitiva la condanna del fotografo a 3 anni e 10 mesi per bancarotta fraudolenta documentale. 

 

La Cassazione definisce Corona un individuo abituato a ”vivere legibus solutus (non soggetto alla legge, ndr) e come tale bisognevole di adeguata risposta rieducativa e di reazione repressiva da parte dell’ordinamento”. ”Il ricorso ad operazioni in nero e fittizie”, ammesse e poi parzialmente smentite, ”sta chiaramente a provare la malafede dell’agente e la sua piena consapevolezza della irregolarità, formale e sostanziale, della sua condotta”, scrivono i giudici della quinta Sezione penale. Nonostante, a sua discolpa, Corona avesse nel ricorso scritto di essere ”ignaro del fatto” perché nello stesso periodo era detenuto nell’ambito della cosiddetta ”Vallettopoli’‘.

La sentenza di secondo grado dalla Corte d’Appello di Milano emessa nel luglio dello scorso anno, scrive la Suprema Corte, ”chiarisce come, a fronte di annotazioni contabili inesistenti, imprecise e di dubbia interpretazione, l’imputato abbia fornito giustificazioni oscillanti, sposando ora l’una, ora l’altra versione dei fatti”.

Corona, scrive la Cassazione, ha “sottratto 50mila euro” in favore dell’ex moglie, Nina Moric, ma ”non ha saputo chiarire se si trattava di un compenso per consulenze, non meglio precisate, o di somma erogata a fronte di un’opera di ristrutturazione di un immobile. Fatto sta che tutte tali operazioni non hanno riscontro contabile adeguato”.

Inoltre ”costituì la società Fenice proprio allo scopo di travasare in essa beni, attività, quadri dirigenti e personale della Corona’s, ormai avviata al dissesto e al fallimento”. Esiste dunque ”un preciso disegno di spoliazione della vecchia struttura produttiva” e la consapevolezza di operare ”in danno dei creditori”.

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