ROMA – Olio extra vergine di oliva contraffatto, sono 5 i modi per scoprire se l’olio che state mangiano non è originale. Se dopo questi 5 consigli vi restano dei dubbi, potete sempre fare il test del Dna. Un test genetico è infatti in grado di svelare la frode, come spiega Daniele Banfi sulla Stampa.
Prima di ricorrere al Dna, un breve test può essere fatto seguendo i consigli del Corriere della Sera, che propone di controllare la produzione, il colore, il profumo, il sapore e la durata:
“1. La produzione
«Quattro — racconta Luigi Caricato, oleologo e autore del volume Atlante degli oli italiani — sono le categorie principali dell’olio. Dal gradino più alto della qualità a quello più basso troviamo l’olio extravergine d’oliva, frutto esclusivamente della spremitura delle olive sane e con un’acidità massima dello 0,8 per cento». Quelli «premium» costano in media 7 o 8 euro al litro. «L’olio vergine d’oliva, che ormai difficilmente si trova in commercio, più simile a quello extravergine ma con alcuni parametri, come l’acidità, differenti (è più acido). L’olio d’oliva, composto da un mix di olio d’oliva raffinato (cioè trattato con sostanze chimiche) e vergine, che costa mediamente 4 o 5 euro al litro; e infine l’olio di sansa, venduto quasi solamente per uso industriale».
2. Il colore
Anche alla vista olio extravergine e olio d’oliva sono differenti. «Il primo ha un colore intenso che può variare dal giallo oro, come in alcuni oli prodotti nel Sud Italia, al verde smeraldo, come in alcuni toscani e umbri — continua Caricato —. L’olio d’oliva, invece, ha una colorazione diversa, in genere più chiara e tenue. Ovviamente, maggiore è la quantità di olio raffinato presente, minore è l’intensità del colore (e la qualità dell’olio)».
3. Il profumo
Differenze simili nel profumo. «Quello dell’extravergine d’oliva è accentuato, riconoscibile anche a un naso poco allenato — dice Caricato —. Il profumo dell’olio d’oliva è, invece, quasi neutro, poco persistente: dal punto di vista sensoriale è un prodotto basico».
4. Il sapore
E anche nel sapore. «Intanto, mentre l’olio extravergine si assaggia — e lo si fa in un bicchiere a forma di tulipano per riuscire a riscaldarlo nelle mani e degustarlo al meglio, alla temperatura corporea —, l’olio d’oliva si utilizza e basta. Il primo ha un sapore sapido e complesso, che può andare dal fruttato leggero, come negli oli liguri o del Garda, al sapore intenso degli oli del Sud: se ottimo, inoltre, dopo l’assaggio la bocca resta pulita. Il secondo, invece, risulta più leggero. E proprio per questo è preferito da molti in cucina».
5. La durata
A parità di modalità di conservazione (quella migliore è lontana da fonti di calore come forno e fornello e da luoghi umidi, con tappo chiuso per non far ossidare il liquido a contatto con l’aria e in bottiglia di vetro scura), l’olio extravergine tende a durare di più: «Perché contiene una quantità maggiore di antiossidanti — spiega Caricato —. Se ben conservato, un olio extravergine d’oliva può durare circa 18 mesi o più dal confezionamento, l’olio d’oliva in genere meno»”.
Se invece volete essere davvero sicuri che di contraffazione non si tratti, c’è una tecnica messa a punto dal Politecnico di Zurigo che permetterà di tracciare l’origine e le eventuali contraffazioni dell‘olio di oliva, spiega Banfi su La Stampa. Basteranno così pochi grammi per etichettare l’intera produzione italiana di olio extra vergine grazie ad un codice a barre composto dal Dna. Si tratta di un metodo a basso costo che potrebbe mettere presto al tappeto il mercato degli alimenti “taroccati”.
E non stiamo parlando solo dell‘olio di oliva, che comunque è uno dei prodotti italiani più soggetti alla contraffazione. Del resto, come rilevato da un’inchiesta del New York Times, il 69% delle bottiglie importate negli Stati Uniti non supera gli standard che consentono ad un olio d’oliva di essere considerato extravergine.
Ma come si “falsa” l’olio extra vergine di oliva? Esistono diversi tipi di contraffazioni, come spiega Banfi sulla Stampa:
“Una consiste nel “tagliare” il vero extravergine con un olio di qualità e costo nettamente inferiore proveniente da altri Paesi. Una procedura, in sé consentita, a patto che venga riportata in etichetta l’origine delle materie prime. Ciò che invece non è legalmente consentito è spacciare per extravergine un olio tagliato con materie che nulla hanno a che fare con le olive. E’ il caso dell’addizione con olii ottenuti dalla soia, beta-carotene e clorofilla, espedienti per mascherare colore e sapore del prodotto. Ecco perché, sviluppare tecniche veloci e a basso costo per monitorare la bontà dei prodotti, è oggi più che mai necessario per salvaguardare i produttori che lavorano secondo le regole”.
Ecco allora che viene in aiuto la tecnica messa a punto a Zurigo: si usa il Dna come un vero e proprio codice identificativo a barre. Tecnicamente, quindi, si inserisce nell’olio, al momento dello stoccaggio, piccolissime quantità di Dna, la cui sequenza deve essere decisa a priori, incapsulato in microsfere.
Come spiega la dottoressa Michela Puddu dell’ETH di Zurigo:
“La metodica, unica nel suo genere, ha la particolarità di essere sia qualitativa sia quantitativa. Da un lato, analizzando la “targa” a Dna, è possibile sapere se l’olio in questione è effettivamente quello dichiarato. Dall’altro, se la concentrazione di nanoparticelle non corrisponde al valore originale, significa che probabilmente all’olio è stato addizionata qualche altra sostanza”.
Questo procedimento avviene sottoponendo il campione a un campo magnetico che separa le microsfere: in questo modo è possibile risalire alla sequenza di Dna. La tecnica avrebbe un costo di “etichettatura” di circa 0,02 centesimi per litro.