FERRARA – Si spingono fin quasi a riva, in cerca di ossigeno. Paganelli, granchi, cefali, anguille, cannolicchi. Una moria che potrebbe durare tutta la settimana tra il delta del Po e le dighe del porto di Ravenna. Spiega Attilio Rinaldi, biologo del Centro ricerche marine di Cesenatico, a Repubblica:
«I banchi si spingono fin quasi a toccare la spiaggia perché il fondale basso permette un contatto migliore dell’acqua con l’atmosfera e quindi l’ossigenazione. Ma la situazione è a rischio. Il libeccio è come la catena di un nastro trasportatore. Spinge al largo le acque superficiali e porta a riva quelle del fondale, che adesso sono anossiche — senza ossigeno — e costringono i pesci a boccheggiare a riva».
«C’era un odore terribile, non si riusciva nemmeno a prendere il sole», dice Stefano Malservisi, titolare del bagno Serena di Pomposa. «Frequento questo mare da 40 anni, una cosa così non l’avevo mai vista. All’inizio qualcuno ne ha approfittato. C’erano le anguille ancora vive che si spingevano sulla sabbia e tante sono finite nelle grigliate. Già martedì e mercoledì sono arrivati i camion e hanno portato via i pesci morti. Ma basta guardare il mare per capire che il pericolo non è finito. Ci sono quei milioni di pesci vicino alla riva che meriterebbero una medaglia, perché cercano di adattarsi e di sopravvivere. I bagnanti sono arrabbiati, non con noi ferraresi che siamo attenti all’ambiente ma con chi nella Valpadana continua a buttare di tutto nel Po».