Fidene (Roma), Gino Lozzi picchiato a sangue in casa da ladri: polmone perforato

Fidene (Roma), Gino Lozzi picchiato a sangue in casa da ladri: polmone perforato
Fidene (Roma), Gino Lozzi picchiato a sangue in casa da ladri: polmone perforato

ROMA – Gino Lozzi rapinato e picchiato nella sua abitazione alla periferia di Roma da una banda di sette malviventi, probabilmente dell’Est Europa. E’ accaduto in via Flavio Andò, in zona Fidene. L’uomo, un 70enne che lavora come custode di una scuola, è stato trasportato in codice rosso in ospedale con diverse fratture ed ecchimosi.Rubati oggetti di valore e gioielli.

Raffaella Troili sul Messaggero racconta la violenza:

Una torcia sul viso, spranghe e picconi per far male. Una banda spietata, probabilmente dell’Europa dell’est, ha messo a segno l’altra notte una rapina in stile Arancia Meccanica. Un settantenne è stato ridotto in fin di vita, mentre la moglie, il figlio e il nipote terrorizzati e impotenti, lo sentivano urlare di dolore.

Gino Lozzi, è arrivato all’ospedale Pertini che non respirava più, un polmone perforato, fratture, ecchimosi in tutto il corpo. La banda, probabilmente dell’est, si è introdotta nella casa al piano terra, dopo aver rotto la rete posteriore che dà sul giardino e scardinato la porta. L’uomo era tornato da un paio d’ore, era stato a cena e poi a ballare il liscio con un gruppo di amici.

E poi le parole di Lozzi:

«Mi sono svegliato che mi stavano massacrando di botte, erano in quattro o cinque» le poche parole che è riuscito a dire, intubato, a un’infermiera, ai figli, a chi è al suo capezzale. La moglie (che è seriamente malata) già dormiva sul divano letto in salone, nell’altra stanza c’era il figlio Urbano, 44 anni, con il piccolo di sei anni. «Saranno state le 3,30, mio padre era già in pigiama ma ancora sveglio e forse deve aver sentito qualche rumore. Si è alzato ed è andato a controllare, probabilmente li ha sorpresi mentre stavano entrando, forse ha reagito e loro si sono accaniti come bestie su di lui». Urbano era con il figlio piccolo in un’altra stanza.

«Uno con il piccone e la torcia andava e veniva dicendomi: se ti muovi ti ammazzo. Di là, dal salone sentivo solo le botte, non parlavano, erano intenti solo a picchiare. Ho sentito papà gridare almeno 20 minuti, poi è calato il silenzio. Anche la voce di mia madre non mi arrivava da tempo, mi ha detto che ha sentito dei rumori, si è svegliata, le hanno messo subito una mano sulla bocca». I minuti passavano ma la furia dei rapinatori non si fermava. «Mentre picchiavano mio padre io gridavo: “ora basta è vecchio, lo ammazzate. Ha settant’anni, basta”, ma non mi ascoltavano. Alla fine, quello che sorvegliava è andato di là e si sono fermati».

A quel punto la banda è andata nella camera di Urbano, dove c’era quel poco oro che hanno racimolato, «mia madre ha consegnato loro i soldi della pensione, saranno stati al massimo 500 euro che teneva nel cassetto. Ora è scioccata, non fa che piangere».

«Quando li ho visti entrare ho pensato al peggio, c’è un bambino ho detto. Parlavano un italiano stentato, sembravano rom, mi dicevano zitto, stai zitto italiano di merda che ti ammazziamo pure a te, voi italiani siete tutti bastardi». Lunghi attimi di terrore, in quella casa isolata, all’interno del cortile di una scuola media, circondata anche esternamente da un parco. Nella stanza hanno preso tutto quel che potevano: soldi, gioielli, cellulari, il pc. Hanno chiesto «dove sta la cassaforte? Gli ho risposto ma quale cassaforte, mio padre è un ex custode. Dopo essersi fatti consegnare tutte le chiavi dell’abitazione e delle macchine, ci hanno chiusi dentro e sono andati via».

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