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Figlio transgender a 13 anni, genitori chiedono al giudice operazione per farlo diventare donna

I genitori di un ragazzino transgender di 13 anni hanno chiesto al giudice il cambio di sesso del figlio. Accade a Ravenna. 

Qui i due coniugi si sono rivolti al Tribunale, sezione civile, per chiedere sia il cambio del nome del loro figlio sia il nulla osta all’intervento chirurgico per il cambio di sesso che, secondo la madre, avverrà solo raggiunta la maggiore età.

Il giovane, riferisce il Resto del Carlino, aveva capito già a pochi anni di desiderare di essere donna e il coming out era arrivato a 12 anni.

Del suo caso si erano occupate anche trasmissioni televisive, a cui il ragazzino aveva partecipato insieme ai genitori.

Nell’ambito del ricorso, il giudice Antonella Allegra ha chiesto un parere alla Procura di Ravenna: dal Pm Cristina D’Aniello è giunto favorevole. Si attende ora la decisione. 

A spiegare i passaggi della vicenda al Resto del Carlino è la madre del ragazzino transgender: “Il giudice ci ha detto che dovrà essere prima fatto un percorso con lo psicologo, solo successivamente sarà fissata un’altra udienza”.

Le parole della madre del ragazzino transgender

Su un punto la donna è categorica: “Nessun intervento chirurgico prima della maggiore età e la decisione spetterà a lei. È prematuro pensare in questo momento a un’operazione così delicata, con lei questo concetto è sempre stato sottinteso. Del resto anche una rinoplastica si può fare solo da maggiorenni. Inoltre non si tratterà di una passeggiata, e quando avrà 18 anni avrà la maturità giusta per decidere. Quindi non autorizzo nessuno a pensare che io voglia trattare mia figlia come una cavia”.

Diverso il discorso per quanto riguarda il nome: “Fino ad oggi – ha spiegato la madre al quotidiano – non ha vissuto una situazione serena e siamo sempre stati costretti a chiedere ai dirigenti scolastici come favore quello che invece è un diritto: essere chiamata in classe col suo nome femminile. L’altro, neppure lo riconosce e sentirlo pronunciare le crea uno stress enorme. Mia figlia è e si sente una ragazza, si immagini l’effetto che le può fare essere chiamata all’appello o durante l’interrogazione con il nome di nascita, che non sente suo. Il rischio è che debba fare ’coming out’ ogni volta. Lei non deve vergognarsi di essere trangender, ma spetta a lei decidere quando parlarne”. (Fonti: Ansa, Il Resto del Carlino)

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