Fortuna Loffredo, il testimone che scagiona Caputo ora indagato per falso

di redazione Blitz
Pubblicato il 24 Gennaio 2017 - 14:44 OLTRE 6 MESI FA
Fortuna Loffredo, il testimone che scagiona Caputo ora indagato per falso

Fortuna Loffredo, il testimone che scagiona Caputo ora indagato per falso

NAPOLI – La scorsa settimana con la sua testimonianza aveva di fatto scagionato l’imputato, Raimondo Caputo, detto Titò, accusato di aver violentato e poi lanciato dall’ottavo piano la piccola Fortuna Loffredo. Oggi, Massimo Bervicato, è indagato per falsa testimonianza. Nuovo colpo di scena al processo sull’omicidio della bimba avvenuto il 24 giugno del 2014 al Parco Verde di Caivano (Napoli).

Bervicato, che quel giorno si trovava anche lui in cortile, aveva detto ai giudici che a richiamare la sua attenzione erano state le urla di Claudio Luongo. Quest’ultimo, secondo una serie di testimonianze ribadite in aula, era l’uomo che si trovava nei pressi dell’androne del palazzo al momento del tragico volo e fu il primo a dare l’allarme, chiamando ad alta voce la ex compagna Mimma, che era in casa.

Secondo la testimonianza di Bervicato però, dal luogo in cui si trovava non poteva assolutamente vedere la bimba esanime al suolo. E aveva aggiunto poi un dettaglio che rischia di smontare l’intero impianto dell’accusa: in quel momento in strada si trovava anche l’imputato, Caputo, in compagnia della figlioletta, e dunque non poteva essere lui l’assassino della bimba.

Il pm Claudia Maone e il presidente Barbarano hanno più volte chiesto al testimone perché mai non avesse riferito questa circostanza così rilevante ai carabinieri che lo interrogarono durante le indagini preliminari, e lui ha spiegato che era ”assonnato” e non aveva le idee lucide.

Nella sua deposizione, Bervicato aveva chiamato in causa Michele Fusco, a conferma di quanto sostenuto. Ma quest’ultimo, ascoltato nei giorni scorsi dai carabinieri, ha invece escluso che al momento della tragedia Titò si trovasse in cortile. Per questo, l’accusa, ha chiesto l’invio degli atti alla Procura di Napoli, per procedere contro Massimo Bervicato per il reato di falsa testimonianza.

Eppure la testimonianza di Bervicato sembrava in linea con quanto sinora sostenuto da Pietro Loffredo, il papà di Fortuna, che dall’inizio del processo non ha mai nascosto la propria insofferenza per la ricostruzione fatta dagli inquirenti. L’uomo è convinto che ad ammazzare Chicca non sia stato l’imputato. Ragion per cui ha rinunciato alla costituzione di parte civile nei confronti di Titò, riservandosi di esercitare tale diritto solo in relazione alla contestazione delle presunte violenze sessuali.

Già in passato, parlando con gli avvocati e i giornalisti durante le pause del dibattimento, il papà di Chicca non ha mai perso occasione per puntare il dito contro altri inquilini del palazzo: in particolare tre persone di un unico nucleo familiare che abita all’ottavo piano. Si tratta, secondo i sospetti dell’uomo, proprio di Claudio Luongo, che tra l’altro ha avuto un figlio dalla mamma di Chicca, Mimma Guardato, della sorella Emilia Luongo e della loro madre, Rachele Di Domenico.

Il 16 dicembre scorso Pietro Loffredo ha messo nero su bianco, in un esposto presentato ai carabinieri della Tenenza di Melito i suoi sospetti. Un verbale di tre pagine nel quale, in estrema sintesi, sostiene che la bimba era andata all’ottavo piano con il fratellino, e nell’abitazione dei Luongo era stata dapprima tramortita con un pugno da Claudio, il quale si era poi allontanato in fretta scendendo in strada mentre la sorella avrebbe lanciato la piccola dal terrazzo.