Schettino, la mattina dopo il naufragio: “Un caffè con molto zucchero, grazie”

Pubblicato il 17 Gennaio 2012 - 19:14 OLTRE 6 MESI FA

Francesco Schettino (Lapresse)

ISOLA DEL GIGLIO (GROSSETO) – La mattina dopo il naufragio, tutto quello che voleva un Francesco Schettino impaurito, confuso e infreddolito era un paio di calze asciutte e un caffè ”con molto zucchero”. È difficile dire cosa sia passato per la testa al comandante per avanzare queste richieste ai cittadini dell’isola del Giglio la mattina dopo il disastro, con migliaia di persone che ancora si aggiravano impaurite e infreddolite sul molo e la sua Concordia già piegata su un fianco, proprio lì davanti ai suoi occhi. Certo è che le richieste non gli fanno onore, come quel ”risalga a bordo subito” urlatogli nella notte dall’ufficiale della Capitaneria di Porto di Livorno Gregorio De Falco.

Se al Giglio parli con chi, quella mattina, Schettino lo hanno visto e sentito, ti dicono tutti la stessa cosa: ”Sembrava frastornato”. Come uno che non si è ancora reso conto di quello che è successo. Quando è arrivato sull’isola, dopo essersi rifiutato di risalire a bordo della nave anche se lui davanti al gip si è difeso dicendo di non esserci riuscito perché la Concordia era troppo inclinata, il comandante è finito dritto negli uffici della Capitaneria, assieme ad alcuni suoi ufficiali. Là dentro ha trascorso il resto della notte, mentre gli abitanti dell’isola si spaccavano in quattro per assistere alla meglio migliaia di passeggeri e il personale dell’equipaggio.

Chissà se è lì che gli è venuto in mente di raccontare che lo scoglio su cui si è schiantata la Concordia non è segnato sulle mappe: difficile, visto che proprio all’ingresso degli uffici della Capitaneria c’è una carta nautica dell’isola, con gli scogli e le profondità ben segnalate. Dall’edificio, da cui si gode un’ottima vista sulla nave inclinata, è uscito alle 11.30-12 di sabato, quando sull’isola erano rimasti soltanto pochi naufraghi e i primi giornalisti sbarcati. ”Mi hanno chiamato dalla Capitaneria di Porto – racconta il tassista che ha preso a bordo del suo pulmino Schettino – Mi dissero che dovevo portare il comandante fino all’hotel”. Un viaggio inutile, visto che la distanza tra la Capitaneria e l’hotel è di 300 metri. Ma necessario per evitare l’assedio dei cronisti all’ufficiale.

Nel breve tragitto Schettino non ha praticamente aperto bocca. Se non per fare una domanda: ”Dove posso comprare un paio di calze?”. ”Era come un cane bastonato – ricorda ancora il tassista – aveva freddo ed era impaurito. Ma come volete che stia un uomo, un comandante di una nave, dopo quello che era accaduto?”. Anche all’Hotel Bahamas il comandante è stato di poche parole. ”Sì me lo ricordo – dice il titolare – dopo esser entrato ha chiesto di poter andare in bagno, per cambiarsi i pantaloni. Con se aveva soltanto una busta di plastica e un computer”.

Schettino era teso, con lo testa da qualche altra parte. ”Non ha aperto bocca, con lui c’era una donna che gli diceva di non dire nulla e quando l’ha visto parlare con due giornalisti l’ha preso per un braccio e l’ha portato via”. Ma a lei non le ha detto niente dell’incidente, non le ha chiesto niente? ”Sulla vicenda della nave non ha fatto una parola. Ma mi ha chiesto un caffè. E mi ha detto: ”La prego, ci metta molto zucchero”.

L’ultima immagine che l’albergatore ricorda del comandante Schettino è quella di un uomo impaurito, che esce dal suo albergo con un bicchiere di carta in mano e si trova davanti agli occhi la Concordia rovesciata su un fianco e centinaia di giubbotti salvagente lasciati dai naufraghi di quella che fu la “sua” nave.