Francesco Valdiserri, omicidio stradale, domiciliari…Ma il domicilio non è quello giusto

Francesco Valdiserri è morto di omicidio stradale, il ragazzo diciottenne è stato ucciso mentre camminava su un marciapiede. Non da un’auto impazzita come spesso pigramente e pilatescamente si scrive. Le auto non impazziscono. E neanche da strade killer, come anche qui per pessima abitudine e falso ritornello spesso si dice in giaculatoria. Le strade non uccidono né per missione né per professione. Franco Valdiseri è stato ammazzato in una pubblica via dalla consuetudine all’inciviltà e alla impunità.

Diritti dell’Io e diritti del Noi

Chi guidava l’auto che ha ucciso Francesco Valdiserri guidava ubriaca e “fatta”: questo dicono le analisi, gli esami e gli inquirenti. Non un caso raro, non una mostruosità della cronaca. A sera, a notte è quasi una costante o almeno un’alta percentuale di gente che si sente e si vive come gente normale guida dopo aver bevuto. Giovani ma soprattutto nella fascia 40/50 anni. Guidare al limite e oltre dell’ubriachezza non prevede e non conosce reale sanzione sociale. E’ un agire che la pubblica opinione colloca nell’area del così fan tutti e/o comunque a me non succede niente. Nel vasto oceano del che vuoi che sia, ampie e possenti le correnti profonde del chi se ne frega e faccio come mi pare.

L’alcool, ma non solo. La diffusa abitudine alle droghe leggere e anche e soprattutto all’uso di sostanze meno leggere viene estesa ai momenti e ai tragitti in cui si guida un’auto. La ricerca, l’obiettivo di uno sballo anche piccolo, tramite percorso da apericena a pasticchina, viene traslocata anche alla guida dell’auto o della moto. Non è un fenomeno di rarefatta minoranza, è un comportamento di massa. In più chi guidava l’auto che ha ucciso Francesco Valdiserri non poteva, a norma di legge, guidare. Da tre anni patente sospesa. Sospesa per guida in stato di ebbrezza. Tre anni dei 23 della ragazza ora accusata di omicidio stradale. Sostanzialmente un da sempre o quasi il mischiare l’alcool, la guida e l’illegalità.

Non sono eccezioni

Francesco Valdiserri e la donna che guidava l’auto che lo ha ucciso non sono eccezioni. Vittime, morti ammazzati da chi guida ubriaco o fatto sono torrente che ingrossa a fiume. E guidare senza alcun limite, guidare un’auto fottendosene (questo e non altro è il termine giusto) della salute e vita altrui è fiume che ingrossa a inondazione. Non sono eccezioni perché alla guida vi è anche una cultura, quella della supremazia assoluta e illimitata dei “diritti dell’Io”. Io ho la macchina e guido anche se mi hanno tolto la patente, Io vado dove e come voglio, è un mio diritto. E si può scender giù per li rami senza dover mutar cultura: Io devo e voglio usare lo smartphone quando guido, mi serve e mi piace. Stessa cultura anche nell’audio di quella studentessa di Latina cui la scuola voleva, niente meno, che sottrarre e mettere in deposito lo smartphone durante le lezioni. La cultura che le fa rivendicare un “certe cose no  le accetto, non mi piego”. Le cose che non accetta sono, né più né meno, le regole della convivenza civile. Una cultura che gode non solo di consenso e contagio, gode anche di protezione e omertà: non sono le strade che uccidono né le auto impazzite, sono cittadini alla guida con la patente da incivili.

Ai domiciliari

La ragazza accusata di omicidio stradale la legge l’ha mandata ai domiciliari, arresti domiciliari. Mettersi al volante di un’auto senza patente, dopo che la patente ti è stata sospesa per guida in stato di ebbrezza, fregarsene e guidare lo stesso, guidare lo stesso dopo aver ancora bevuto e bevuto dopo aver mischiato alcool a qualcos’altro in corpo è mettersi in condizione di uccidere. Giusti i domiciliari, non giusto, non equo il domicilio. Non doveva essere la casa della ragazza ma un istituto di pena. E non per vendetta o libido punitiva. Ma per semplice, elementare, minima deterrenza. Per disaccoppiare quel che invece oggi va a braccetto: l’inciviltà e l’impunità.

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